«Mi avete chiesto che cosa pensavo di lei. Me l'ha chiesto anche la polizia. E dò a voi la stessa risposta. Sally Jupp era carina, intelligente, ambiziosa, astuta e insicura.»

«La conoscevate bene» commentò Stephen a mezza voce.

«Non tanto. Non era facile conoscerla. Ha lavorato qui per tre anni e quando se n'è andata non sapevo nulla di più sulle sue vicende familiari di quando l'ho assunta. Assumerla è stato una sorta di esperimento. Avrete notato che non abbiamo ragazze giovani qui. È difficile trovarne, se non a uno stipendio doppio di quello che si meritano e il lavoro non le interessa. Ma non posso biasimarle. Hanno solo pochi anni per trovarsi un marito e questo non è certo un buon terreno di caccia. Sanno anche essere crudeli, se le mettiamo a lavorare con donne più anziane. Non avete mai visto le galline giovani che ammazzano a colpi di becco gli uccellini feriti? Beh, noi prendiamo solo galline vecchie, qui. Saranno magari un po' lente, ma sono metodiche e fidate. Non è un lavoro che richieda grande intelligenza. Sally era troppo intelligente. Non ho mai capito perché è rimasta. Dopo la scuola, era stata assunta da un'agenzia di segretarie e ci è stata mandata per supplire a una temporanea carenza di personale durante un'epidemia di influenza. Il lavoro le piaceva e mi ha chiesto di restare. Il Club era in fase di espansione e la mole di lavoro giustificava l'assunzione di un'altra stenografa. Perciò l'ho presa. Come ho detto, era un esperimento. Era l'unica impiegata sotto i quarantacinque anni.»

«Non mi sembra che restare a lavorare qui sia un segno di grande ambizione» osservò Stephen. «Perché avete detto che era astuta?»

«Perché la tenevo d'occhio e ascoltavo quel che diceva. Abbiamo una bella lista di gente che è stata qui e ha dovuto andarsene, e lei evidentemente lo sapeva. Ma era furba la nostra Sally, era furba davvero. "Sì, signorina Titley. Certo, signorina Croome. Lasciate che ve lo prenda io, signorina Melling." Era pudica come una suora e rispettabile come una dama di compagnia dell'epoca vittoriana. Naturalmente, le aveva tutte in pugno. Tutte dicevano che era bello avere una ragazza così giovane in ufficio. Le facevano regali ai compleanni e a Natale. Le parlavano della sua carriera. Chiedevano persino consiglio sui vestiti da mettersi! Come se le fosse importato qualcosa di quello che indossavamo o di quello che pensavamo! L'avrei considera una stupida, altrimenti. Era un'attrice nata. Tutto considerato, non c'è da stupirsi se dopo due mesi che Sally era qui, si fosse instaurato veramente un clima da ufficio. È un fenomeno del quale, probabilmente, non avete alcuna esperienza. Ma credetemi, non è per nulla piacevole. Si creano tensioni, si spettegola di nascosto, ci si punzecchia, sorgono inspiegabili rivalità. Amiche di vecchia data non si rivolgono più la parola. Nascono strane amicizie. Naturalmente, il lavoro ne soffre, anche se certa gente ci sguazza. Ma non io. Avevo capito benissimo che cos'era successo. Sally le aveva rese tutte gelose e quelle povere stupide non se n'erano neppure accorte. Le erano veramente affezionate. Anzi, credo addirittura che la signorina Melling fosse innamorata di lei. Se Sally ha confidato a qualcuno di essere incinta, deve averlo detto a Beatrice Melling.»

«Potrei parlare con la signorina Melling?» domandò Stephen.

«No, a meno che non sia un medium. Beatrice è morta in seguito a una banalissima operazione di appendicite la settimana dopo che Sally se n'era andata. Dopo che se n'era andata, badate bene, senza neppure salutarla. Credete che si possa morire dal dispiacere, dottor Maxie? No, naturalmente non lo credete.»

«Che cosa è successo quando Sally è rimasta incinta?»

«Niente. Nessuna se n'è accorta. La nostra comunità non è molto esperta in questo genere di cose. E Sally! La mite, virtuosa, tranquilla, piccola Sally! Ho notato che era pallida e un po' dimagrita, le prime settimane. Ma poi, era più bella di prima. Sembrava che irradiasse qualcosa tutt'intorno a sé. Doveva essere incinta di quattro mesi, quando se n'è andata. Mi ha dato la solita settimana di preavviso, pregandomi di non dire niente a nessuno. Non mi ha dato alcuna spiegazione, né io le ho chiesto niente. Francamente, per me era un sollievo. Non avevo alcun motivo plausibile per mandarla via, ma già da qualche tempo mi ero accorta che l'esperimento era fallito. Se n'è andata un venerdì e il lunedì ho dato la notizia alle altre. Ognuna avrà tirato le sue conclusioni, ma credo che nessuna abbia azzeccato quella giusta. D'altra parte, non era la prima che se ne andava. La signorina Croome accusò la signorina Melling di averla fatta andar via con la sua possessività esagerata e con le sue eccessive manifestazioni di affetto. Per farle giustizia, in verità, non credo che la signorina Melling abbia mai pensato o preteso altro da Sally Jupp, se non che rimanesse a far colazione con lei, mentre forse la ragazza avrebbe preferito andare al più vicino Lyons con la signorina Croome.»

«Così non avete la minima idea di chi possa essere l'uomo, né del luogo dove si vedevano?»

«Per nulla. So solo che si incontravano il sabato mattina, ma questo l'ho saputo dalla polizia. Noi facciamo la settimana corta e l'ufficio non è mai aperto al sabato. Sembra invece che Sally avesse detto allo zio e alla zia che veniva a lavorare. Perciò, veniva a Londra tutti i sabati mattina. Un vero e proprio imbroglio. Non credo che si interessassero molto al suo lavoro e anche se avessero provato a telefonarle, avrebbero potuto pensare che non c'era nessuno a rispondere al telefono. Era abile come bugiarda, la nostra piccola Sally.»

S'indovinava, nella voce della signorina Molpas, una nota di risentimento, troppo acre per non essere dettata da qualche motivo personale. Stephen si domandò che cos'altro ci sarebbe stato da dire sulla vita d'ufficio di Sally.

«La sua morte vi ha sorpresa?» chiese.

«Mi ha sorpresa e colpita come sempre accade quando una cosa orribile e irreale come l'omicidio entra a far parte del nostro mondo. Ma quando ci ho ripensato, mi ha sorpreso un po' meno. C'era qualcosa in lei che ne faceva una vittima ideale, quasi predestinata. Quello che più mi ha colpito è stato sapere che era una ragazza madre. La credevo più accorta, troppo astuta per farsi incastrare in quel modo. Avrei detto, addirittura, che fosse sessualmente sottosviluppata, e non il contrario. Era già qui da un paio di settimane, quando è successo un fatto curioso. I libri vengono impacchettati in cantina e l'impiegato che se ne occupava era un uomo. Era un ometto tranquillo, di mezza età, sposato con sei bambini. Noi non lo vedevamo quasi mai, ma una volta Sally andò da basso in magazzino a recapitargli un messaggio. Lui deve averle fatto qualche proposta. Ma per scherzo, evidentemente. Quando l'abbiamo licenziato è caduto dalle nuvole. Forse aveva tentato di baciarla, non so. Non sono mai riuscita a sapere veramente com'era andata. Ma dalla scena che fece Sally sembrava che le avesse strappato i vestiti di dosso e l'avesse violentata. Naturalmente, va tutto a suo merito l'essersi indignata, ma in genere le ragazze d'oggi sanno come cavarsela in situazioni del genere senza fare scene isteriche. E quella volta non fingeva. Faceva sul serio. Quando la paura e il disgusto sono veri si vede. Mi dispiacque per Jelks. Fortunatamente, mio fratello ha una ditta a Glasgow, che è anche la città natale di Jelks, e così sono riuscita a trovargli una sistemazione lì. Se la cava benissimo e, evidentemente, ha imparato la lezione. Ma, credetemi, Sally Jupp non era una ninfomane.»

Questo, Stephen l'aveva già scoperto da solo. Sembrava che non vi fosse altro da sapere per bocca della signorina Molpas. Era già più di un'ora che mancava dall'ospedale e Standen stava forse già sulle spine. Salutò e scese di nuovo nell'ufficio al pianterreno. La signorina Titley era sempre al suo posto e aveva appena finito di consolare un abbonato scontento, al quale gli ultimi tre libri non erano piaciuti. Stephen attese che la conversazione avesse termine. L'ordinata fila di volumi dalla rilegatura marrone aveva ridestato un'eco nella sua memoria. Qualcuno che conosceva era socio del Club. Non era uno dell'ospedale. Passò mentalmente in rassegna le librerie di tutti i suoi amici e infine trovò la risposta.

«Temo di non avere molto tempo per leggere» disse rivolto alla signorina Titley. «Ma mi sembra che abbiate libri di valore. Credo che uno dei miei amici sia socio del Club. Vi è mai capitato di vedere Sir Reynold Price?»

Certo che la signorina Titley aveva visto Sir Reynold Price. Sir Reynold era un così caro cliente. Veniva sempre di persona, tutti i mesi, e facevano discussioni così interessanti. Era una persona affascinante, in tutti i sensi, Sir Reynold Price.

«Mi domando se gli è mai capitato di incontrare Sally Jupp, quando veniva qui.» Stephen lasciò cadere la domanda con una certa esitazione. Si aspettava che causasse sorpresa, ma la reazione della signorina Titley lo lasciò di stucco. Si era offesa. Con gentilezza infinita, ma con fermezza, spiegò che la signorina Jupp non avrebbe mai potuto incontrare Sir Reynold alla Select Books Limited. L'ufficio clienti era affidato esclusivamente a lei, alla signorina Titley. Erano dieci anni che faceva quel lavoro. Tutti i clienti la conoscevano e lei, a sua volta, conosceva tutti. Trattare di persona con i soci richiedeva tatto ed esperienza. La signorina Molpas aveva la massima fiducia in lei e non si sarebbe mai sognata di affidare l'ufficio a qualcun'altra. La signorina Jupp, concluse, era una novellina, una ragazzina inesperta.

Con quest'ultima frecciata ironica, chiuse il discorso e Stephen dovette accontentarsi di quel poco che aveva saputo.

Quando arrivò in ospedale erano ormai le quattro. Quando passò davanti alla stanza del custode, Colley lo chiamò e si sporse sopra il banco con l'aria circospetta di un cospiratore. I suoi miti occhi di vecchio avevano un'espressione preoccupata. Stephen ricordò che la polizia era stata all'ospedale. Probabilmente, avevano parlato con Colley. Si domandò quali guai aveva potuto combinare il vecchio, che per eccesso di devozione si era certamente imposto di non far trapelare nulla. In realtà, non c'era proprio nulla da nascondere. Sally era venuta all'ospedale una sola volta. Colley non poteva far altro che confermare ciò che la polizia già sapeva. Ma il custode stava dicendo qualcosa:

«C'è stata una telefonata per voi, signore. Veniva da Martingale. La signorina Bowers ha lasciato detto di chiamare subito, non appena foste rientrato. È urgente.»

Stephen, preso da un senso di panico, cercò di dominarsi e scartabellò tra la corrispondenza, come se aspettasse una lettera, prima di rispondere.

«La signorina Bowers ha lasciato qualche messaggio, Colley?»

«No, signore. Nessun messaggio.»

Decise di telefonare dall'apparecchio pubblico nell'atrio. Lì era sicuro che nessuno lo avrebbe disturbato, anche se il telefono si trovava proprio di fronte a Colley. Prima di entrare nella cabina, contò le monete che gli sarebbero servite. Di solito, non si riusciva subito ad avere la comunicazione con Chadfleet, ma a Martingale Catherine era evidentemente in attesa di fianco all'apparecchio. Rispose immediatamente, quasi prima ancora che il telefono suonasse.

«Stephen? Grazie al cielo sei tornato. Ascolta, puoi venire subito a casa? Qualcuno ha cercato di uccidere Deborah.»

 

29

 

Intanto, nel salottino del 17 di Windermere Crescent, l'ispettore Dalgleish si trovava a faccia a faccia con il suo uomo e si avvicinava, lentamente ma inesorabilmente, al momento della verità. Victor Proctor sembrava un animale in trappola, che sa bene che anche l'ultima via di scampo gli è ormai preclusa, ma non trova ancora il coraggio di voltarsi e di guardare la morte in faccia. I suoi piccoli occhi scuri non avevano pace. La voce aveva perso ogni traccia del suo solito tono propiziatorio e anche il sorriso era scomparso. Era rimasta solo la paura. Nel giro di pochi minuti, la fossetta tra il naso e le labbra sembrava essersi fatta più profonda e marcata. Il pomo d'Adamo gli si muoveva su e giù, convulsamente, nel collo rosso e scarno come quello di una gallina.

Dalgleish lo incalzava senza pietà.

«Dunque ammettete che la dichiarazione che avete mandato alla Associazione Aiuti Immediati, nella quale asserivate che vostra nipote era un'orfana di guerra priva di mezzi, era falsa?»

«Forse avrei dovuto menzionare le duemila sterline, ma rappresentavano un capitale, non un reddito.»

«Un capitale che avevate speso?»

«L'abbiamo dovuta mantenere. La somma mi era stata affidata perché l'amministrassi in sua vece, ma dovevo pur nutrirla, no? Non abbiamo mai avuto granché su cui campare, noi. Le scuole erano pagate, ma c'erano sempre i vestiti. Non è stato facile, ve lo assicuro.»

«E comunque dite che la signorina Jupp non sapeva che il padre le aveva lasciato quella somma?»

«Era solo una bambina, allora. E dopo, non ci è più sembrato il caso di dirglielo.»

«Perché, nel frattempo, avevate speso tutto?»

«Mi è servito per mantenerla, ve l'ho detto. Avevo il diritto di usare quei soldi. L'amministrazione della somma era stata affidata a me e a mia moglie e abbiamo fatto il meglio che abbiamo potuto per la bambina. Quanto le sarebbero durati quei soldi, se li avesse ricevuti quando compiva i ventun anni? L'abbiamo nutrita tutti quegli anni senza avere un centesimo in più.»

«Eccetto i tre versamenti dell'Associazione.»

«Beh, era davvero un'orfana di guerra, o no? Non hanno dato molto, comunque. È servito per pagarle l'uniforme della scuola, non di più.»

«Continuate a negare di essere stato a Martingale, sabato scorso?»

«Ve l'ho detto. Perché continuate a insistere? Non sono andato alla festa. Perché mai avrei dovuto?»

«Forse volevate congratularvi con vostra nipote per il suo fidanzamento. Avete detto che la signorina Liddell vi aveva telefonato sabato mattina per darvi la notizia. La signorina Liddell continua a negare di aver fatto una cosa del genere.»

«Non ci posso far niente. Se non era la Liddell, era una che si faceva passare per lei. Come faccio a sapere chi era?»

«Siete ben sicuro che non fosse vostra nipote?»

«Era la signorina Liddell, vi ho detto.»

«E, in seguito alla telefonata, non siete andato a trovare la signorina Jupp a Martingale?»

«No. No. Quante volte ve lo devo dire? Sono stato in giro in bicicletta tutto il giorno.»

Dalgleish estrasse due fotografie dal portafogli e le appoggiò, l'una accanto all'altra, sul tavolo. Tutt'e due ritraevano gruppi di bambini che stavano entrando dal grande cancello di ferro battuto di Martingale. Ognuno di essi aveva atteggiato il viso al più largo ed ampio sogghigno, nel tentativo di convincere il fotografo che si trovava di fronte al bambino più felice che mai fosse entrato a Martingale. Dietro ai bambini alcuni adulti erano anch'essi in procinto di entrare, seppure in modo assai meno spettacolare. La figura furtiva con l'impermeabile, diretta verso la cassa con le mani infilate in tasca non era bene a fuoco, ma era comunque inconfondibile. Proctor allungò la mano sinistra fino a metà del tavolo, come per stracciare la fotografia, poi ripiombò a sedere.

«E va bene» sospirò. «Forse è meglio che ve lo dica. Ci sono andato.»

 

30

 

C'era voluto un po' per trovare qualcuno che lo sostituisse. Non era la prima volta che Stephen provava invidia per le persone che non ponevano sempre i propri problemi personali in secondo piano rispetto alle esigenze del loro lavoro. Quando fu sistemato e riuscì a farsi prestare un'auto, provò qualcosa di simile all'odio nei confronti dell'ospedale e di tutti i suoi pazienti, esigenti e insaziabili. Sarebbe forse stato tutto più facile, se avesse potuto raccontare francamente quello che era successo, ma qualcosa glielo aveva impedito. Probabilmente, avrebbero pensato che la polizia era sulle sue tracce, che stavano per arrestarlo. Che lo pensassero pure. Che pensassero quel diavolo che volevano. Dio, si sentiva rinascere al pensiero di andarsene da quel posto dove si sacrificavano continuamente i vivi per tenere in vita chi aveva già un piede nella fossa!

In seguito, scoprì di non ricordare più nulla di quel viaggio verso casa. Catherine gli aveva detto che Deborah stava bene, che il tentativo era fallito, ma Catherine era una stupida. Che cosa stavano facendo quando era successo? Catherine era calmissima al telefono, ma i particolari che aveva riferito, del resto chiarissimi, non fornivano alcuna spiegazione. Qualcuno si era introdotto nella stanza di Deborah, la mattina presto, e aveva tentato di strangolarla. Lei si era divincolata e aveva chiamato aiuto. Per prima era arrivata Martha e, dopo un secondo, anche Felix. Deborah, però, si era già ripresa abbastanza da far finta di aver avuto un incubo. Tuttavia, era evidentemente terrorizzata e aveva passato il resto della notte in camera di Martha, vicino al camino, con le porte e le finestre sbarrate e il colletto della vestaglia tirato su fino al mento. Era scesa a colazione con una sciarpa di chiffon avvolta intorno alla gola, ma, a parte l'aria stanca e un notevole pallore, sembrava tranquilla. Era stato Felix Hearne che, seduto accanto a lei a pranzo, aveva notato l'ecchimosi, che si intravedeva al di sopra della sciarpa, e le aveva tirato fuori la verità. Si era consultato con Catherine. Deborah li aveva pregati di non dir nulla alla mamma, perché non si preoccupasse, e Felix aveva acconsentito, ma Catherine aveva insistito per chiamare la polizia. Dalgleish non era in paese. Uno degli agenti disse che probabilmente l'ispettore e il sergente Martin erano andati a Canningbury. Felix non aveva lasciato nessun messaggio, ma aveva semplicemente pregato di dire a Dalgleish di venire a Martingale non appena gli fosse stato possibile. Alla signora Maxie non avevano detto nulla. Il signor Maxie stava ormai troppo male, perché si potesse lasciarlo troppo a lungo da solo e tutti speravano che l'ecchimosi sul collo di Deborah sparisse prima che la madre si insospettisse. Secondo Catherine, Deborah temeva maggiormente di spaventare la madre, che non di essere vittima di una seconda aggressione. Stavano aspettando l'arrivo di Dalgleish, ma Catherine aveva pensato che era meglio informare anche Stephen dell'accaduto. Aveva telefonato senza consultarsi con Felix. Probabilmente, non avrebbe approvato. Ma era ora che qualcuno mostrasse un po' di decisione. Martha non sapeva niente. Deborah era terrorizzata all'idea che potesse rifiutarsi di restare a Martingale, se avesse saputo la verità. Catherine non era d'accordo con questo modo di comportarsi. Con un assassino in giro, Martha aveva il diritto di proteggere se stessa. Era ridicolo che Deborah volesse tenere ancora nascosta l'aggressione. Ma lei aveva minacciato di negare tutto, se la polizia avesse detto qualcosa a Martha o a sua madre. Perciò era meglio che Stephen venisse subito, per vedere se poteva fare qualcosa. Catherine non voleva prendersi da sola altre responsabilità. La cosa non sorprese Stephen. Tra tutti e due, Hearne e Catherine, se n'erano già prese anche troppe, di responsabilità. Deborah doveva essere impazzita per pensare di tenere nascosta una cosa del genere. A meno che non avesse le sue buone ragioni. A meno che il terrore di una seconda aggressione fosse preferibile alla scoperta della verità. Mentre i piedi e le mani agivano con automatica coordinazione sui freni e sull'acceleratore, sul volante e sulla leva del cambio, il cervello, reso più lucido dall'apprensione, lavorava per proprio conto. Quanto tempo era trascorso dopo le grida di aiuto, prima dell'arrivo di Martha? E prima dell'arrivo di Felix? Martha dormiva nella stanza accanto. Era naturale che fosse la prima a svegliarsi. Ma Felix? Perché aveva acconsentito a tacere? Era pura follia pensare che un omicidio e un tentato omicidio si potessero trattare alla stessa stregua delle sue imprese in tempo di guerra. Sapevano tutti che Felix era un eroe, ma del suo eroismo non sapevano che farsene, a Martingale. E poi, che cosa sapevano in realtà di lui? Deborah si era comportata in modo strano. La Deborah che lui conosceva non avrebbe chiamato aiuto. Una volta si sarebbe difesa con rabbia, più che per paura. Ma si ricordò la sua faccia sconvolta quando avevano trovato il cadavere di Sally, com'era stata colta da conati di vomito e come si era diretta subito verso la porta, incespicando alla cieca. Non si può mai dire come reagisce una persona in stato di shock. Catherine aveva reagito bene, Deborah male. Ma Catherine aveva più esperienza di morti violente. O forse anche una coscienza più pulita?

Il pesante portone d'ingresso di Martingale era aperto. La casa era insolitamente silenziosa. Sentiva solo un mormorio proveniente dal soggiorno. Al suo ingresso, quattro paia di occhi si volsero a guardarlo ed egli poté udire distintamente il sospiro di sollievo di Catherine. Deborah sedeva su una delle sedie davanti al camino. Alle sue spalle si trovavano Felix e Catherine, Felix rigido e alerte, Catherine con le braccia appoggiate allo schienale della sedia e le mani posate sulle spalle di Deborah, come a proteggerla e confortarla. Deborah sembrava non dispiacersene. Teneva la testa china all'indietro. La camicetta a collo alto era aperta e dalla mano le penzolava una sciarpa di chiffon giallo. Fin dalla porta, Stephen poteva vedere il segno bluastro dell'ecchimosi poco sopra la linea sottile delle scapole. Dalgleish le sedeva di fronte, rilassato sulla sedia, ma con occhio vigile. Lui e Felix Hearne si squadravano come due gatti in una stanza. Da qualche parte, in un angolo, Stephen avvertiva la presenza dell'onnipresente sergente Martin con il suo taccuino. Un attimo prima che uno qualsiasi dei presenti potesse proferir parola, la pendola dorata batté i tre quarti, e ogni singola nota risuonò nel silenzio come un sassolino di cristallo. Stephen si portò rapidamente a fianco della sorella e si chinò a baciarla. Le guance lisce di Deborah erano fredde come il ghiaccio. Scostando il capo, i loro occhi si incontrarono ed egli lesse nel suo sguardo qualcosa che non riuscì ad interpretare. Era una supplica? O un avvertimento? Si volse verso Felix.

«Che cosa è successo?» domandò. «Dov'è mia madre?»

«È di sopra con il signor Maxie. Passa la maggior parte della giornata con lui, adesso. Le abbiamo detto che l'ispettore Dalgleish era venuto per una visita di pura formalità. Non c'è alcun bisogno di darle altre preoccupazioni. E neanche a Martha. Se Martha si spaventa e decide di andarsene, dovremo far venire un'altra infermiera specializzata e non possiamo permettercelo, in questo momento. Anche ammesso di trovarne una disposta a venire.»

«Mi sembra che ti stai dimenticando qualcosa» replicò Stephen, rudemente. «E Deborah? Vogliamo starcene qui seduti in attesa di un altro tentativo di omicidio?» Lo irritavano sia il modo con cui Felix si era tranquillamente assunto la responsabilità delle cose di famiglia, sia la possibile allusione al fatto che qualcuno se l'era dovuto assumere, visto che l'unico uomo della famiglia anteponeva ad essa le proprie necessità professionali. La risposta gli giunse da Dalgleish:

«Mi sono assunto io il compito di provvedere alla sicurezza della signora Riscoe, dottore. Volete essere così cortese da esaminare la gola della signora e dirmi che cosa ne pensate?»

Stephen si voltò verso di lui.

«Preferirei di no. Il nostro medico di famiglia è il dottor Epps. Perché non avete chiamato lui?»

«Vi sto chiedendo di guardarle la gola, non di curarla. Non c'è tempo di indulgere in vani scrupoli professionali. Fate come vi ho detto, per favore.»

Stephen chinò nuovamente la testa. Dopo un attimo, la rialzò e disse: «Ha afferrato il collo con entrambe le mani poco sopra e dietro le scapole. C'è una vasta ecchimosi, ma le unghie e i pollici non hanno lasciato alcun segno. La presa può essere stata effettuata con la base del pollice sul davanti e le dita dietro. La laringe quasi sicuramente non è stata toccata. L'ecchimosi dovrebbe sparire entro un paio di giorni. Nulla di grave, insomma». Poi aggiunse: «Dal lato fisico, perlomeno.»

«In altre parole, un lavoro da dilettanti?» disse Dalgleish.

«Se volete metterla in questi termini.»

«Proprio così. Non vi fa pensare che l'aggressore conosca bene il suo mestiere? Che sapesse dove far pressione e quanta per non provocare gravi danni? Non saremmo autorizzati a pensare che la persona che ha strangolato la signorina Jupp con tanta perizia sia capace di far meglio di così? Che ne pensate, signora Riscoe?»

Deborah si stava abbottonando la camicetta. Si liberò dalla stretta possessiva di Catherine e si riavvolse la sciarpa intorno al collo.

«Mi spiace di avervi deluso, ispettore. Forse la prossima volta l'assassino farà meglio di così. Per me è stato fin troppo esperto, grazie.»

«Mi sembra che la prendiate molto alla leggera» sbottò Catherine, indignata. «Ma se la signorina Riscoe non fosse riuscita a divincolarsi e a chiamare aiuto, non sarebbe viva, a quest'ora. Evidentemente al buio l'assassino l'ha afferrata come ha potuto, ma si è spaventato quando ha cominciato a gridare. E poi, forse questo non è stato il primo tentativo. Non dimenticate che il sonnifero era stato sciolto nella tazza di Deborah.»

«Non l'ho dimenticato, signorina Bowers. E neppure che la bottiglietta del sonnifero è stata trovata sotto il paletto con sopra il suo nome. Dove eravate l'altra sera?»

«Aiutavo ad accudire il signor Maxie. La signora Maxie e io siamo state insieme tutta la notte, salvo che per andare in bagno. Da mezzanotte in poi siamo state sempre insieme.»

«E il dottor Maxie era a Londra. Questa aggressione si è verificata in un momento che faceva comodo a tutti. L'avete visto, questo misterioso strangolatore, signora Riscoe? Sapreste riconoscerlo?»

«No. Non dormivo profondamente e ho pensato a un incubo. Mi sono svegliata quando ho sentito le mani sulla gola. Sentivo il suo fiato sulla mia faccia, ma non sono riuscita a vederlo. Quando ho gridato e ho allungato la mano per accendere la luce, è fuggito dalla porta. Ho acceso la luce e ho gridato. Ero terrorizzata. Non era neppure un terrore razionale. In qualche modo, il sogno e l'aggressione si sono fusi insieme. Non saprei neppure dire con precisione quando è finito l'uno ed è cominciata l'altra.»

«E, tuttavia, quando è arrivata la signora Bultitaft non avete detto nulla?»

«Non volevo spaventarla. Sappiamo tutti che c'è uno strangolatore in giro, ma dobbiamo continuare a fare il nostro lavoro. Saperlo non le sarebbe servito a niente.»

«Ciò rivela un encomiabile rispetto per la tranquillità della signora, ma non certo per la sua incolumità. Devo congratularmi con tutti voi per la vostra noncuranza nei confronti di questo maniaco omicida. Perché, ovviamente, non si tratta d'altro. Spero che non stiate cercando di dirmi che la signorina Jupp è stata uccisa per errore, che è stata scambiata per la signora Riscoe.»

Felix parlò per la prima volta: «Non stiamo cercando di dirvi nulla. Questo, casomai, è compito vostro. Sappiamo solo quello che è successo. Sono d'accordo con la signorina Bowers nel giudicare in pericolo la signora Riscoe. Spero che vorrete accordarle la protezione alla quale ha diritto.»

Dalgleish lo guardò.

«A che ora siete arrivato in camera della signora Riscoe, stamattina?»

«Circa mezzo minuto dopo la signora Bultitaft, credo. Mi sono alzato non appena ho sentito gridare.»

«E né voi, né la signora Bultitaft avete visto l'intruso?»

«No. Suppongo che fosse già in fondo alle scale prima ancora che noi fossimo usciti dalle nostre stanze. Naturalmente, non ho fatto ricerche, perché solo oggi pomeriggio ho appreso quello che veramente era successo. Oggi ho dato un'occhiata in giro, ma non ho trovato la minima traccia.»

«Avete idea di come questa persona possa essersi introdotta in casa, signora Riscoe?»

«Forse è entrata da una delle porte a vetri del soggiorno. Ieri sera siamo usciti in giardino e dobbiamo esserci dimenticati di chiuderle. Stamattina Martha ha detto di averle trovate aperte.»

«Che cosa intendete con "siamo usciti"? Volete dire voi e il signor Hearne?»

«Sì.»

«Avevate già indossato la vestaglia, quando Martha è arrivata in camera vostra?»

«Sì. Me l'ero appena infilata.»

«E la signora Bultitaft ha preso per buona la storia del sogno e vi ha proposto di passare il resto della notte in camera sua, vicino al fuoco?»

«Sì. Non voleva andare a letto nemmeno lei, ma io l'ho costretta. Ma prima abbiamo bevuto insieme una tazza di tè.»

«Perciò, in sostanza, le cose stanno più o meno così» concluse Dalgleish. «Voi e il signor Hearne siete usciti di sera a fare quattro passi nel giardino di una casa dove ha appena avuto luogo un delitto e, rientrando, lasciate aperte le porte-finestre. Durante la notte un uomo non meglio identificato penetra nella vostra stanza, tenta goffamente di strangolarvi per un motivo che né voi, né gli altri riuscite neppure lontanamente ad immaginare, e poi svanisce senza lasciar traccia. La vostra gola ha subito un danno così lieve che avete la forza di gridare per attirare l'attenzione delle persone che dormono nelle stanze vicine e quando queste arrivano, pochi minuti dopo, vi siete già rimessa dallo spavento, tanto da essere in grado di mentire sull'accaduto, menzogna resa ancor più efficace dal fatto che vi siete presa il disturbo di uscire dal letto e di infilarvi la vestaglia col collo alto, per nascondere l'ecchimosi. Vi sembra un comportamento razionale, signora Riscoe?»

«Certo che no» ribatté bruscamente Felix. «Nulla di quanto ha avuto luogo in questa casa da sabato scorso a oggi sembra razionale. Ma dubito che persino voi possiate pensare che la signora Riscoe abbia cercato di strangolarsi con le sue mani. Non è possibile prodursi da soli queste ecchimosi. E se non se l'è fatte da sola, chi gliele ha fatte? Credete veramente che una giuria rifiuterebbe di vedere un nesso tra i due crimini?»

«Non credo che alla giuria sarà chiesto di esaminare questa possibilità» disse Dalgleish pacatamente. «Ho quasi ultimato la mia indagine sulla morte di Sally Jupp. Quello che è successo questa notte non cambia di una virgola le mie conclusioni. Non fa alcuna differenza. Credo sia ora di mettere finalmente in chiaro questa faccenda e propongo di abbreviare i tempi. Se la signora Maxie non ha nulla in contrario, propongo di trovarci tutti qui stasera alle otto.»

«Voleva me, ispettore?» Tutti si volsero verso la porta. Eleanor Maxie era entrata senza fare il minimo rumore, tanto che solo Dalgleish se n'era accorto. Non attese la risposta, ma si diresse subito verso il figlio.

«Sono contenta che tu sia qui, Stephen. Deborah ti ha telefonato? Volevo farlo io stessa, se non accennava a migliorare. È difficile da dire, ma credo ci sia stato un peggioramento. Per favore, ti dispiace chiamare il signor Hinks? E Charles, naturalmente.»

Era naturale, pensò Stephen, che pensasse prima al prete e poi al medico.

«Prima vengo su io a vedere» disse. «Naturalmente, col permesso dell'ispettore. Non credo ci sia più nulla di importante da discutere qui.»

«Non fino a stasera alle otto, dottore.»

Il tono dell'ispettore lo indispettì e fu quasi sul punto di ricordargli che ai chirurghi ci si rivolgeva chiamandoli "signore". Evitò di far la figura del meschino pedante, perché si rese conto della futilità di una simile osservazione e perché si ricordò che sua madre aveva bisogno di lui. Erano giorni, ormai, che non pensava quasi più a suo padre. Ora doveva rimediare. Per un attimo, le indagini di Dalgleish, l'orrore della morte di Sally svanirono di fronte a questa nuova e più impellente necessità. In questa circostanza, almeno, poteva comportarsi come farebbe veramente un figlio.

Ma improvvisamente Martha si piazzò davanti alla porta. Stava lì senza riuscire a muoversi, bianca come un lenzuolo e tremante da capo a piedi, con la bocca che si apriva e si chiudeva senza emettere alcun suono. Il giovane alto dietro di lei le passò accanto ed entrò nella stanza. Con uno sguardo colmo di orrore rivolto alla padrona e accennando rigidamente col braccio a un gesto che, più che invitare lo straniero ad entrare, sembrava volerlo lasciare finalmente in balìa della compagnia riunita nella stanza, Martha gemette come un animale e scomparve. Il giovane la seguì con occhi divertiti, indi si girò verso i suoi ospiti. Era molto alto, più di un metro e ottanta, e i suoi capelli biondi, tagliati cortissimi, parevano bruciati dal sole. Indossava un paio di pantaloni di velluto marrone a coste e una giacca di pelle. La camicia si apriva su un collo robusto e abbronzato, sul quale posava una testa straordinaria, l'immagine stessa di una salute animalesca e della virilità. Aveva le gambe lunghe, e così le braccia. Su una spalla portava uno zaino. Nella mano destra teneva una borsa da viaggio di una compagnia aerea, nuova di zecca, marchiata con un paio di ali dorate, che in quel pugno bruno e forte sembrava un giocattolo per signorine. Al suo confronto, la bellezza di Stephen impallidiva e si mostrava per quello che era: nulla più che una comune eleganza. La stanchezza e la noia che Felix aveva provato negli ultimi quindici anni sembravano tutt'a un tratto pesargli sul viso. Quando il nuovo arrivato parlò, la sua voce, cordiale e allegra, non mostrò traccia alcuna di diffidenza. Era una voce vellutata, di tono vagamente americano, e tuttavia non v'era dubbio che l'uomo fosse inglese.

«Pare che abbia fatto spaventare un po' quella povera signora. Scusatemi se sono piombato qui così, senza preavviso, ma forse Sally non vi ha mai parlato di me. Mi chiamo James Ritchie. Vorrà vedermi senz'altro. Sono suo marito.» Si rivolse alla signora Maxie. «Non mi ha mai detto bene che lavoro fa qui da voi e non vorrei causare troppo disturbo. Sono venuto a portarla via.»

 

31

 

Anche molti anni più tardi, quando Eleanor Maxie sedeva in silenzio nel soggiorno, le capitava spesso di vedere quel fantasma del passato, così baldanzoso e sicuro di sé, che la guardava dalla porta, e le sembrava ancora di sentire il terribile silenzio che accolse le sue parole. Silenzio che non era potuto durare più di qualche secondo, ma che, nella memoria, sembrava protrarsi per interi minuti, mentre il giovane li guardava, fiducioso, e loro lo fissavano, increduli e impietriti dall'orrore. La signora Maxie ebbe il tempo di pensare che la scena sembrava un quadro, la raffigurazione pittorica di uno stato d'animo: la sorpresa. Lei, invece, non ne provava affatto. Quegli ultimi giorni l'avevano talmente provata e svuotata di qualsiasi capacità di provare emozioni, che quell'ultima rivelazione fece l'effetto di un martello su una matassa di lana. Non v'era più nulla di sorprendente da scoprire su Sally Jupp. La sua morte era stata una sorpresa, il suo fidanzamento con Stephen, il fatto che così tante persone fossero implicate nella sua vita e nella sua morte. Apprendere che Sally era, oltre che madre, moglie era interessante, ma non sorprendente. Lontana com'era da qualsiasi emozione, non le sfuggì l'occhiata che Felix Hearne scoccò rapidamente in direzione di Deborah. Era scosso anche lui, ma quel cenno d'intesa aveva anch'esso un suo significato, era divertito e trionfante. Stephen pareva solo perplesso e frastornato. Catherine era diventata rosso fuoco e stava lì, a bocca aperta, folgorata dalla sorpresa. Poi si voltò verso Stephen, come a dargli l'incarico di far da portavoce. Infine, la signora Maxie guardò Dalgleish e per un attimo i due si fissarono negli occhi. In quelli di Dalgleish lesse un momentaneo, ma inconfondibile senso di pena e di compassione. Era ben conscia di essere preda di pensieri del tutto irrilevanti: "Sally Ritchie. Jimmy Ritchie. Ecco perché ha chiamato il bambino Jimmy, è il nome del padre. Non capisco, invece, perché aveva voluto chiamarlo Jimmy Jupp. Ma perché lo guardano così? Qualcuno dovrebbe dirgli qualcosa".

Qualcuno, infatti, lo fece.

Deborah, con le labbra completamente bianche, parlò come in sogno:

«Sally è morta. Nessuno ve l'aveva detto? È morta e sepolta. Dicono che uno di noi l'ha uccisa.»

Poi iniziò a tremare violentemente e Catherine, che arrivò da lei prima di Stephen, riuscì ad afferrarla prima che cadesse e l'aiutò a sedersi su una sedia. Il quadro si frantumò. Vi fu un improvviso effluvio di parole. Stephen e Dalgleish si avvicinarono a Ritchie. Qualcuno mormorò: «È meglio che andiamo nello studio» e i tre scomparvero improvvisamente. Deborah stava distesa sulla sedia, con la testa reclinata e gli occhi chiusi. La signora Maxie non provò altro, di fronte alla disperazione della figlia, che una lieve irritazione e una sorta di abulica curiosità per quelle che ne erano state le cause. Altre, per il momento, e più urgenti erano le sue preoccupazioni. Si rivolse a Catherine.

«Devo tornare di sopra da mio marito, ora. Non vuoi venire a darmi una mano? Il signor Hinks sarà qui a momenti e non credo ci sia da far molto affidamento su Martha, per ora. Il nuovo arrivato sembra averla sconvolta.»

Catherine avrebbe potuto osservare che Martha non era la sola ad essere stata sconvolta, ma mormorò qualche parola di assenso e fu subito da lei. Il modo con cui sapeva veramente rendersi utile e in cui si prendeva realmente cura dell'invalido non impedivano alla signora Maxie di rendersi conto che la sua ospite si sforzava di impersonare l'assistente in grado di far fronte a qualsiasi situazione con allegria e competenza. Quest'ultimo avvenimento avrebbe potuto essere la goccia che faceva traboccare il vaso, ma Catherine aveva una capacità di resistenza a prova di bomba e più Deborah si indeboliva, più Catherine acquistava forza. Sulla porta, la signora Maxie si volse verso Felix Hearne.

«Quando Stephen ha finito di parlare con Ritchie, è meglio che venga su da suo padre. È del tutto incosciente, naturalmente, ma penso sia meglio che Stephen venga su. Anche Deborah dovrebbe venire, appena si sentirà meglio. Vuoi dirglielo tu?» Poi, in risposta alla sua domanda non ancora formulata, aggiunse: «Non c'è motivo di dirlo a Dalgleish. I suoi progetti per stasera restano validi. Per le otto sarà già tutto finito».

Deborah era ancora distesa sulla sedia, con gli occhi chiusi. La sciarpa che aveva intorno al collo era sciolta.

«Che cos'ha Deborah sul collo?»

L'interesse della signora Maxie sembrava piuttosto vago.

«È stata una stupida ragazzata, temo» rispose Felix. «Ha riscosso il successo che si meritava.»

Dopo un ultimo sguardo diretto alla figlia, Eleanor Maxie se ne andò, lasciandoli soli.

 

32

 

Mezz'ora dopo, Simon Maxie era morto. I suoi lunghi anni di vita praticamente vegetativa erano giunti finalmente al termine. Psichicamente e intellettualmente, era morto ormai da tre anni. L'esalazione dell'ultimo respiro non fu che una formalità, per suggellare il suo definitivo distacco da un mondo, che, un tempo, aveva conosciuto e amato. Ormai, non era più in grado di affrontare l'ultima ora con dignità e coraggio, ma morì almeno di una morte tranquilla. La moglie e i figli erano al suo fianco e il sacerdote della parrocchia recitò le preghiere di rito come se la figura rigida e grottesca adagiata sul letto potesse prestarvi ascolto. Martha, invece, non c'era. In seguito, i familiari del morto avrebbero spiegato che non era parso loro il caso di farla assistere all'evento. Ma in quel momento sapevano bene che non avrebbero potuto sopportare i suoi piagnistei. Quel letto di morte rappresentava solo l'epilogo di un decesso che durava ormai da lungo tempo. Mentre i componenti della famiglia se ne stavano, pallidi in volto, intorno al letto del defunto, tentando di evocare un po' di pietà, o almeno il ricordo del dolore, pensavano in realtà a quell'altra morte e, con la mente, correvano già all'appuntamento di quella sera, alle otto.

Più tardi, si ritrovarono tutti in soggiorno, eccetto la signora Maxie, che non provava forse alcuna curiosità nei confronti del marito di Sally, o forse aveva deciso di isolarsi, almeno per il momento, da tutto ciò che aveva qualche rapporto con l'omicidio. Raccomandò solo ai suoi familiari di non far sapere all'ispettore che suo marito era morto, poi si incamminò insieme al signor Hinks alla volta della canonica.

«In realtà, è tutto abbastanza semplice. Naturalmente, non ho avuto il tempo di approfondire la cosa, perché volevo andare su da papà. Dalgleish è rimasto con Ritchie, dopo che io me ne sono andato e suppongo che abbia saputo tutto quel che gli interessava sapere. Erano proprio sposati. Si erano conosciuti quando Sally lavorava a Londra e si erano spostati in segreto un mese prima che lui partisse per il Venezuela per lavorare come operaio edile.»

«Ma, perché Sally non l'ha mai detto?» domandò Catherine. «Perché tanti misteri?»

«Sembra che, se la ditta l'avesse saputo, il lavoro sarebbe andato in fumo. Volevano un uomo non sposato. La paga era buona e al suo ritorno avrebbero potuto metter su casa. Sally voleva a tutti i costi che si sposassero prima della partenza. Secondo Ritchie, le piaceva molto l'idea di giocare un tiro agli zii. Non era mai stata felice, con loro. Aveva in mente di continuare a stare con loro e di tenere il posto, finché Ritchie non fosse tornato. Aveva calcolato che avrebbe potuto mettere da parte circa 50 sterline. Poi, quando ha saputo di aspettare un bambino, ha deciso di fare di testa sua. Dio sa perché. Ma Ritchie non mi è parso sorpreso. Ha detto che Sally era fatta così.»

«Peccato che non si sia accertato che non fosse incinta, prima di lasciarla» osservò seccamente Felix.

«Forse l'ha fatto» tagliò corto Stephen. «Forse gliel'ha chiesto e lei ha mentito. Non ho approfondito la questione. Non erano fatti di cui potessi impicciarmi. Avevo davanti un uomo che era tornato da lontano solo per scoprire che la moglie gli era morta in questa casa, assassinata, lasciandogli un figlio del quale non sospettava neppure l'esistenza. Non vorrei passare un'altra mezz'ora come quella per tutto l'oro del mondo. Non era proprio il momento adatto per ricordargli che poteva stare più attento. Speriamo piuttosto di non fare anche noi lo stesso suo sbaglio, per Dio!»

Ingollò il suo whisky. La mano con cui teneva il bicchiere tremava. Senza aspettare che gli altri parlassero, continuò:

«Dalgleish è stato meraviglioso. Se fosse qui per altri motivi, dopo stasera potrebbe anche piacermi. Ha portato via Ritchie con sé. Andavano al St. Mary a vedere il bambino e poi speravano di trovare una stanza per Ritchie al Moonraker's Arms. Sembra che il giovane non abbia famiglia.»

S'interruppe un attimo per riempirsi il bicchiere, poi proseguì:

«Questo, naturalmente, spiega molte cose. La conversazione che Sally ebbe con il vicario, giovedì, quando gli ha detto che Jimmy avrebbe avuto un padre.»

«Ma era fidanzata con te!» sbottò Catherine. «Aveva accettato la tua proposta.»

«Non ha mai detto veramente che mi avrebbe sposato. Le piacevano i misteri e di questo ho fatto le spese io. Non credo nemmeno che abbia mai detto a nessuno di essersi fidanzata con me. Ce lo siamo messi in testa noi. È stata sempre innamorata di Ritchie. Sapeva che presto sarebbe tornato. Oggi lui era persino patetico quando voleva a tutti i costi farmi sapere quanto si amavano. Continuava a piangere e voleva farmi leggere le lettere che lei gli scriveva. Io naturalmente non volevo. Dio solo sa se non mi odiavo già abbastanza così. È stato terribile! Ma dopo averne letta una, non potevo più smettere. Continuava a tirarle fuori da quella sua borsa e me le metteva in mano, con gli occhi pieni di lacrime. Erano lettere patetiche, sentimentali, ingenue. Ma erano autentiche, vere, i sentimenti che esprimevano erano sinceri.»

"Non c'è da stupirsi che ti abbiano tanto turbato, allora" pensò Felix. "Tu non ne hai mai provati in vita tua."

Saggiamente, Catherine Bowers lo apostrofò:

«Non devi sentirti in colpa. Tutto questo non sarebbe successo se Sally avesse detto la verità sul suo matrimonio. Fingere, in una cosa del genere, significa cacciarsi nei guai. Suppongo che lui le scrivesse tramite un intermediario.»

«Sì. Era Derek Pullen. Le lettere erano chiuse in una busta indirizzata a Pullen. Ogni tanto si vedevano e lui gliele consegnava. Lei, però, non gli ha mai detto che erano lettere di suo marito. Non so che storia avesse inventato, ma doveva essere ben architettata. Pullen aveva giurato di mantenere il segreto e, per quanto ne so, non l'ha mai tradita. Sally sapeva bene come scegliere i suoi polli.»

«Le piaceva prendersi giuoco della gente» disse Felix. «Può essere pericoloso, a volte. Evidentemente, uno dei suoi polli ha deciso che lo scherzo era durato abbastanza. Non sei stato tu, per caso, caro Maxie?»

Il tono era deliberatamente offensivo e Stephen ebbe uno scatto. Ma prima che potesse replicare, sentirono suonare alla porta e la pendola batté le otto.

 

33

 

Di comune accordo, decisero che la riunione avrebbe avuto luogo nello studio. Qualcuno aveva disposto le sedie a semicerchio intorno alla massiccia scrivania e qualcuno aveva anche riempito d'acqua una caraffa e l'aveva posata alla destra di Dalgleish. Dalgleish sedeva da solo alla scrivania e Martin sedeva alle sue spalle. Man mano che entravano nello studio, scrutò ad uno ad uno gli indiziati. Eleanor Maxie era la più composta. Scelse una sedia di fronte alla finestra e sedette con aria tranquilla e distaccata, lo sguardo rivolto al giardino, alle aiuole e agli alberi che spiccavano in lontananza. Sembrava che, per quanto la riguardava, tutto si fosse già concluso. Stephen Maxie entrò con fare deciso, lanciando a Dalgleish uno sguardo di sfida mista ad odio, e prese posto accanto a sua madre. Felix Hearne e Deborah Riscoe entrarono insieme, ma non si guardarono mai in faccia e sedettero discosti l'uno dall'altra. A Dalgleish parve che il loro rapporto si fosse un po' guastato, dopo l'infelice messinscena della sera prima. Si chiese, stupito, come mai Hearne si fosse lasciato coinvolgere in quella farsa destinata ad un inevitabile fallimento. Osservando l'ecchimosi sul collo della ragazza, si chiese ancora più stupito perché Felix aveva ritenuto di dover usare tanta forza. Catherine Bowers entrò per ultima. Quando tutti gli sguardi si appuntarono su di lei, arrossì visibilmente e si affrettò a prender posto sull'unica sedia vacante, come uno studente arrivato in ritardo alla lezione. Mentre Dalgleish apriva il suo dossier, sentì i primi rintocchi della campana della chiesa. La campana aveva suonato anche la prima volta che era giunto a Martingale. Da quel giorno, le sue indagini erano state accompagnate spesso dal suono delle campane, che avevano fatto da colonna sonora all'omicidio. Ora, però, suonavano a morto e Dalgleish si chiese, senza farci troppo caso, chi fosse il defunto; per chi suonassero le campane che non avevano suonato per Sally.

Alzò gli occhi dalle sue carte ed esordì con voce calma e profonda:

«Una delle caratteristiche più peculiari di questo delitto è il contrasto tra la sua apparente premeditazione e il modo in cui fu effettivamente perpetrato. Il referto medico fa senza dubbio pensare a un gesto impulsivo. Lo strangolamento non è stato lento. I segni classici dell'asfissia mancano quasi del tutto. È stata usata una forza notevole e si è riscontrata la frattura della base del corno superiore della tiroide. Tuttavia, la morte è stata causata dalla paralisi del nervo vago ed è stata istantanea. Naturalmente, essa si sarebbe potuta verificare anche se l'assassino avesse esercitato una pressione meno violenta. L'impressione che si ricava da questi elementi è quella di un'aggressione non premeditata. Lo dimostra anche il fatto che l'assassino usò le mani. Di solito, se si progetta di strangolare una persona, si usa una corda, una sciarpa, o magari una calza. La tecnica è soggetta a variazioni, ma il motivo di questa scelta è abbastanza evidente. Poche persone farebbero affidamento sulla forza delle proprie mani per un'operazione del genere. C'è una persona, qui, che forse potrebbe farlo, ma dubito che avrebbe usato questo metodo. Ci sono metodi altrettanto efficaci per uccidere senza far uso di armi e sicuramente ne era perfettamente al corrente.»

Felix Hearne mormorò quasi tra sé:

«Ma questo è successo in un altro paese e, oltre a tutto, la donna è morta.»

Se Dalgleish lo udì, o se avvertì lo sforzo con cui il suo pubblico frenò l'impulso di volgere lo sguardo in direzione di Hearne, non lo diede minimamente a vedere. Tranquillamente continuò:

«Con l'apparente impulsività di quel gesto contrastavano le prove dei tentativi, parzialmente riusciti, di drogare la vittima, evidentemente allo scopo di renderla insensibile. Questo per potersi introdurre più facilmente in camera sua, senza svegliarla, e per ucciderla nel sonno. Ho decisamente scartato la teoria di due tentativi di omicidio nella stessa notte ad opera di persone diverse. Nessuno dei presenti aveva motivo di nutrire particolari simpatie nei confronti di Sally e qualcuno poteva anche avere dei buoni motivi per ucciderla. Ma che due persone avessero scelto la stessa notte per tentare di ucciderla era perlomeno poco credibile.»

«Se noi la odiavamo,» disse Deborah a mezza voce «non eravamo gli unici.»

«C'era anche quel Pullen» intervenne Catherine. «Non mi direte che non c'era stato niente, tra quei due.»

Deborah ebbe un sobbalzo, ma Catherine proseguì, imperterrita, con fare belligerante:

«E che dire della signorina Liddell? Tutto il paese sapeva che Sally aveva scoperto qualcosa di compromettente su di lei e l'aveva minacciata di svelare tutto. Se poteva ricattarne una, poteva ricattare chiunque.»

Stancamente, Stephen osservò:

«Mi riesce difficile immaginare la povera, vecchia signorina Liddell che si arrampica faticosamente su per la canna fumaria per affrontare Sally a tu per tu. Non ne avrebbe mai avuto il coraggio. E non puoi certo pensare che si sarebbe messa in testa di strangolare Sally a mani nude.»

«Forse sì, se avesse saputo che era drogata» insisté Catherine.

«Ma non poteva saperlo» osservò Deborah. «E non avrebbe neppure potuto mettere lei la droga nella tazza di Sally. Lei e Eppy stavano uscendo di casa quando Sally è salita in camera con la tazza. E poi era la mia tazza, ricordi? Prima erano tutt'e due in questa stanza con la mamma.»

«Ha preso la tua tazza per lo stesso motivo per cui ha copiato il tuo vestito» replicò Catherine. «Ma il Sommeil può essere stato messo nella tazza anche dopo. Nessuno si sarebbe mai sognato di drogare te, Deborah.»

«No, non può essere stato messo dopo» tagliò corto Deborah. «Chi mai avrebbe potuto farlo? Uno di noi dovrebbe essere entrato in punta di piedi in camera sua con la bottiglietta di papà, far finta di essere venuto a salutarla, poi aspettare che si chinasse sul lettino per far cadere un paio di compresse nella tazza. Non ha senso.»

La voce pacata di Dalgleish la interruppe:

«Nulla ha senso, se pensiamo che il delitto e il sonnifero siano collegati tra loro. Certo, che due persone decidessero di uccidere Sally la stessa notte in due modi diversi, strangolandola e avvelenandola, era poco probabile. Ma c'è un'altra spiegazione possibile. E se il sonnifero propinato a Sally non fosse stato un caso isolato? Supponiamo che qualcuno drogasse regolarmente la bevanda dalla ragazza. Qualcuno che sapeva che Sally beveva solo la cioccolata e quindi sapeva che si poteva tranquillamente mischiare il Sommeil alla polvere di cacao. Qualcuno che sapeva dove trovare la droga e che aveva abbastanza esperienza per calcolare le dosi nel modo giusto. Qualcuno che voleva screditare Sally per farla cacciare di casa, qualcuno che poteva protestare se Sally dormiva troppo al mattino. Qualcuno che, probabilmente, aveva sofferto più degli altri a causa di Sally e che avrebbe tratto soddisfazione da qualsiasi azione, anche la più innocua, che potesse dargli l'impressione di tenere la ragazza sotto il proprio potere. In un certo senso, come potete vedere, si trattava di un surrogato di omicidio.»

«Martha» disse Catherine, senza volerlo.

I Maxie sedevano in silenzio. Se avevano saputo o sospettato qualcosa, nessuno di loro ne diede il benché minimo segno. Eleanor Maxie pensò con tristezza alla donna che aveva lasciato in cucina a piangere la morte del padrone. Martha si era alzata in piedi quando la signora era entrata, con le mani ruvide e callose strette contro il grembiule. Quando la signora Maxie le aveva dato la notizia, non aveva detto nulla. Le lacrime, che sgorgavano in silenzio, testimoniavano eloquentemente il suo dolore. Quando aveva parlato, lo aveva fatto con voce ferma, anche se le lacrime non avevano cessato di scorrerle fluenti lungo le gote e di bagnarle le mani, immobili. Senza far scene e senza fornire spiegazioni le aveva dato il suo preavviso. Se ne sarebbe andata alla fine della settimana. Aveva un amico nel Herefordshire dal quale sarebbe potuta andare per un po'. La signora Maxie non aveva protestato e non aveva cercato di dissuaderla. Non era sua abitudine. Ma ora, mentre guardava Dalgleish con occhi cortesi e attenti, il suo animo onesto vagliò attentamente i motivi che l'avevano portata ad escludere Martha dalla stanza dove suo marito era in punto di morte e rifletté sulla constatazione di una fedeltà che la famiglia non aveva dato affatto per scontata e che invece si era rivelata assai più complessa e meno servile di quanto nessuno di loro avrebbe mai potuto sospettare e, infine, si era spinta oltre ogni limite.

Catherine stava parlando. Apparentemente, non era agitata e stava seguendo il resoconto di Dalgleish come se fosse la storia di un caso interessante e anomalo:

«Martha, naturalmente, aveva facile accesso al Sommeil in qualsiasi momento. I componenti della famiglia erano piuttosto trascurati per quanto riguardava i medicinali del signor Maxie. Ma perché proprio quella sera voleva drogare Sally? Dopo l'episodio di quella sera, a cena, la signora Maxie aveva ben altro a cui pensare e non avrebbe dato molto peso al fatto che Sally si alzasse tardi. Era troppo tardi per sbarazzarsi di lei in quel modo. E perché ha nascosto la bottiglietta sotto il cartellino con il nome di Deborah? Avevo sempre pensato che fosse fedele e devota alla famiglia.»

«Anche noi lo pensavamo» commentò Deborah, seccamente.

«Mise la droga nel cacao anche quella sera, perché non sapeva nulla del fidanzamento» disse Dalgleish. «Non era in sala da pranzo quando era stato annunciato e nessuno gliel'aveva detto. Dopo, è andata a prendere il sonnifero nell'armadietto del signor Maxie e l'ha nascosto, presa dal panico, perché pensava di aver esagerato con la dose e di aver ucciso Sally. Se ci ripensate, ricorderete che la signora Bultitaft è stata l'unica persona che non è entrata in camera di Sally. Mentre tutti voi ve ne stavate intorno al letto, il suo primo e unico pensiero è stato quello di nascondere la bottiglia. Non era la cosa più ragionevole da fare, ma non era d'altronde in grado di ragionare con buon senso. È corsa in giardino e ha sotterrato la bottiglietta nel primo mucchietto di terra morbida che ha trovato. Il nascondiglio, probabilmente, doveva essere provvisorio. Ecco perché l'ha contrassegnato, nella fretta, con il primo paletto che ha trovato. Il caso ha voluto che fosse il vostro, signora Riscoe. Poi è tornata in cucina, ha svuotato quel che era rimasto del cacao, compreso il rivestimento di carta della scatola, ha lavato il contenitore e l'ha buttato nella pattumiera. Solo lei ha avuto la possibilità di fare tutto questo. Poi il signor Hearne è venuto in cucina a vedere se la signora Bultitaft stava bene e se aveva bisogno di aiuto. Ecco quanto ha dichiarato il signor Hearne.»

Dalgleish girò una pagina del suo dossier e lesse:

«Sembrava stordita e continuava a ripetere che Sally doveva essersi suicidata. Le ho fatto notare il più delicatamente possibile che questo era anatomicamente impossibile, e ciò sembrò agitarla ancora di più. Mi ha guardato in modo strano..., poi ha cominciato a singhiozzare.»

Dalgleish alzò lo sguardo, rivolto al suo pubblico.

«L'emozione della signora Bultitaft» disse «era probabilmente provocata da una reazione di sollievo. Ho anche il sospetto che, prima che la signorina Bowers arrivasse col bambino per dargli da mangiare, il signor Hearne abbia anche istruito la signora Bultitaft in vista dell'inevitabile interrogatorio da parte della polizia. La signora Bultitaft mi ha detto di non aver confessato né a lui né ad altri di aver drogato lei la ragazza. Può anche essere. Questo non significa che il signor Hearne non l'abbia indovinato da solo. Fu pronto, come del resto durante tutto il corso delle indagini, a lasciare le cose come stavano, visto che potevano servire a sviare la polizia. Verso la fine delle indagini, con il falso attentato alla signora Riscoe, si è un po' riscattato.»

«È stata un'idea mia» disse Deborah, quasi sottovoce. «Gli ho chiesto io di farlo.»

Hearne ignorò questa interruzione e si limitò a replicare:

«Forse l'avevo indovinato. Ma Martha ha detto la verità. Non mi aveva detto niente e io non le avevo chiesto niente. Non era affar mio.»

«No» ribatté severamente Dalgleish. «Non era affar vostro.»

La sua voce aveva perduto il suo tono neutro e controllato e tutti lo guardarono, sorpresi da quella improvvisa veemenza.

«Questo è stato il vostro atteggiamento, fin dall'inizio, non è così? Non ficchiamo il naso negli affari degli altri. Non lasciamoci prendere la mano dalla curiosità. Se proprio dobbiamo sorbirci questo delitto, facciamolo almeno con buon gusto. Persino i vostri tentativi di mettere i bastoni tra le ruote alla polizia avrebbero riscosso maggior successo, se vi foste data la pena di scoprire qualcosa di più l'uno dell'altro. La signora Riscoe non avrebbe avuto bisogno di chiedere al signor Hearne di inscenare un'aggressione ai suoi danni, mentre il fratello era a Londra, al sicuro da ogni sospetto, se suo fratello avesse avuto un po' più di fiducia in lei e le avesse confidato di avere un alibi per la notte del delitto. Derek Pullen non avrebbe avuto bisogno di torturarsi nel dubbio se proteggere o meno un assassino, se il signor Stephen Maxie si fosse preso la briga di spiegargli che cosa stava facendo con una scala sabato notte, in giardino. Finalmente, siamo riusciti a strappargli la verità, ma non è stato facile.»

«A Pullen non interessava affatto proteggermi» disse Stephen con indifferenza. «Voleva solo fare il ragazzo per bene. Avreste dovuto sentirlo quando mi ha telefonato per spiegarmi che bravo e leale camerata sarebbe stato! Il vostro segreto è al sicuro, con me, Maxie. Ma perché non dire tutto onestamente, invece? Al diavolo la sua insolenza!»

«Suppongo che tu non abbia nulla in contrario a dirci che cosa stavi facendo con quella scala» s'informò Deborah.

«E perché mai? Stavo riportandola al suo posto, perché era appoggiata fuori dalla stalla di Bocock. L'avevamo usata quel pomeriggio per tirar giù un pallone che si era impigliato nei rami di un albero. Sai com'è Bocock. L'avrebbe trascinata fin qui l'indomani mattina, ed è troppo pesante per lui. Forse ero in vena di darmi un po' al masochismo, perciò me la sono caricata in spalla. Non potevo immaginare che avrei trovato Pullen nella vecchia stalla. Evidentemente ha preso l'abitudine a gironzolare da quelle parti. E non potevo neppure immaginare che Sally sarebbe stata uccisa e che Pullen avrebbe usato il suo scaltrissimo cervello per sommare due più due e desumere che io avessi usato la scala per salire in camera di Sally e farla fuori. Tra l'altro, perché mai avrei dovuto farlo? Potevo benissimo entrare dalla porta. E la direzione da cui venivo non era neppure quella giusta.»

«Forse ha pensato che tu volessi far cadere i sospetti su qualcun altro. Magari su di lui» suggerì Deborah.

La voce annoiata di Felix la interruppe:

«Non ti è venuto in mente, Maxie, che il ragazzo poteva essere veramente indeciso e angosciato?»

Stephen si agitò a disagio sulla sedia.

«Non me ne sono preoccupato più che tanto. Non aveva alcun diritto di entrare nella nostra proprietà, e gliel'ho anche detto. Non so da quanto tempo fosse lì, ma sicuramente mi aveva visto deporre la scala. Poi è sbucato dall'ombra come una furia vendicatrice e mi ha accusato di ingannare Sally. Evidentemente aveva una strana concezione delle divisioni di classe. Sembrava che io volessi esercitare una sorta di droit de seigneur. Gli ho detto di badare ai fatti suoi, solo un po' meno gentilmente, e mi è saltato addosso. Non ci ho visto più e l'ho colpito a un occhio, facendogli saltar via gli occhiali. Fu una cosa stupida e volgare. Eravamo troppo vicini a casa e cercavamo di non fare troppo rumore. Siamo rimasti lì per un po' a scambiarci insulti di vario genere, mentre rovistavamo in mezzo alla polvere per ritrovare i suoi occhiali. Senza le lenti, è quasi cieco, così l'ho accompagnato fino all'angolo con Nessingford Road. Forse pensò che lo volessi allontanare dalla nostra proprietà, ma si sarebbe offeso in ogni caso, e perciò la cosa non ha grande importanza. Quando ci siamo salutati, si era convinto della necessità di darsi quello che secondo lui era un contegno dignitoso e voleva persino stringermi la mano. Non sapevo più se ridere o se metterlo di nuovo a knock out. Mi spiace, Deb, ma è fatto così.»

Per la prima volta, Eleanor Maxie prese la parola:

«Peccato che tu non ce l'abbia detto prima. Gli avremmo certo risparmiato un sacco di preoccupazioni, povero ragazzo.»

Tutti sembravano ormai essersi dimenticati della presenza di Dalgleish, ma ora fu il suo turno di riprendere la parola:

«Il signor Maxie aveva i suoi motivi per tacere. Aveva capito che era importante per voi tutti far credere alla polizia che la scala si trovasse a portata di mano, vicino alla finestra di Sally. Conosceva, più o meno, l'ora del decesso e non voleva far sapere alla polizia che la scala era stata riportata nella vecchia stalla solo dopo le dodici e venti. Con un po' di fortuna, potevano anche pensare che fosse rimasta lì tutta la notte. Per la stessa ragione, fu vago circa l'ora alla quale lasciò il cottage di Bocock e mentì sull'ora alla quale era andato a letto. Se qualcuno che abitava sotto questo tetto aveva ucciso Sally a mezzanotte, era meglio che i sospetti coinvolgessero il maggior numero possibile di persone. Sapeva che la maggior parte dei casi criminali si risolvono con un processo di eliminazione. D'altra parte, invece, credo che abbia detto il vero sull'ora alla quale serrò la porta sud. Ciò avvenne alle dodici e trentatré e noi sappiamo che alle dodici e trentatré Sally Jupp era già morta da una buona mezz'ora. Morì prima che il signor Maxie lasciasse il cottage di Bocock e più o meno all'ora in cui il signor Wilson, il proprietario del negozio, si alzò dal letto per chiudere una finestra che scricchiolava e vide Derek Pullen che, a testa china, se ne andava verso Martingale. Pullen sperava, probabilmente, di incontrare Sally e di avere da lei delle spiegazioni. Ma aveva appena raggiunto le vecchie stalle quando sopraggiunse il signor Maxie con la scala. E Sally, a quell'ora, era già morta.»

«Perciò non è stato Pullen?» chiese Catherine.

«E come poteva essere stato lui?» l'aggredì Stephen. «Non poteva certo averla già ammazzata quando parlò con me, e dopo non era in condizione di tornare indietro a fare una cosa del genere. È riuscito a malapena a trovare il cancello di casa sua.»

«E se Sally era già morta quando Stephen è tornato dal cottage di Bocock, non può essere stato neppure lui» arguì Catherine.

Era la prima volta, notò Dalgleish, che qualcuno faceva specifico riferimento all'innocenza o alla colpevolezza di uno dei membri della famiglia.

Stephen Maxie disse:

«Come fate a sapere che era già morta? Era viva alle dieci e mezza di sera e al mattino era morta. Questo è tutto quello che sappiamo.»

«Non è esatto» ribatté Dalgleish. «Ci sono due persone che possono indicare con maggior precisione l'ora della morte. Una, naturalmente, è l'assassino. Ma c'è anche qualcun altro che ci può dare una mano.»

 

34

 

Qualcuno bussò alla porta e comparve Martha, con cuffia e grembiule, imperturbabile come sempre. I capelli erano tirati sotto la cuffietta di foggia antiquata, le caviglie prominenti sporgevano dalle scarpe nere e squadrate. Se i Maxie videro in lei la donnetta disperata che era corsa a cercar rifugio in cucina, come un animale spaventato nella sua tana, stringendosi al seno la bottiglietta incriminata, non lo fecero trasparire. Era la stessa Martha di sempre, e se era diventata un'estranea, lo era sempre meno di quanto gli stessi membri della famiglia non lo fossero divenuti l'uno per l'altro. Non fornì alcuna spiegazione della sua presenza, ma si limitò ad annunciare: «Il signor Proctor per l'ispettore».

Poi scomparve e la figura che era rimasta nell'ombra alle sue spalle si fece avanti. Proctor era troppo infuriato per stupirsi di essere stato introdotto senza tanti complimenti in una stanza piena di persone intente a discutere dei fatti propri. Sembrò non far caso agli altri e avanzò con fare bellicoso verso Dalgleish.

«Sentite, ispettore, voglio essere protetto. Così non va. Ho provato a cercarvi alla stazione di polizia. Non hanno voluto dirmi dove eravate, grazie tante, ma non mi sono lasciato infinocchiare da quel sergente. Ho pensato che vi avrei trovato qui. Dovete fare qualcosa.»

Dalgleish lo squadrò in silenzio per un minuto.

«Che cos'è che non va, signor Proctor?» s'informò.

«Quel giovanotto. Il marito di Sally. È stato a casa mia e mi ha minacciato. Era ubriaco, se volete il mio parere. Non è colpa mia se quella si è fatta ammazzare e gliel'ho detto. Non voglio che faccia spaventare mia moglie. E poi ci sono i vicini. Gridava e insultava e si sentiva fino in fondo alla strada. C'era anche mia figlia, e non è bello che una bambina veda queste cose. Sono innocente, io, come sapete bene, e voglio essere protetto.»

Sembrava davvero che avesse bisogno di protezione, e non solo contro James Ritchie. Era un ometto scarno, con la faccia rossa, l'espressione stizzosa come quella di una gallina inferocita e un tic che gli faceva spostare la testa di fianco mentre parlava. I vestiti erano puliti, ma di qualità scadente. L'impermeabile grigio era immacolato e il cappello di feltro, che teneva stretto nelle mani inguantate, era stato recentemente provvisto di un nastro nuovo. Improvvisamente, Catherine disse:

«Voi eravate qui il giorno del delitto! Vi abbiamo visto sulle scale. Forse venivate dalla stanza di Sally.»

Stephen lanciò un'occhiata alla madre e disse:

«Credo che fareste meglio ad entrare e a pregare insieme a noi. Dicono che le confessioni in pubblico siano un vero toccasana per l'anima. In verità, avete inscenato la vostra comparsa con un tempismo perfetto. Suppongo che siate interessato a sapere chi ha ucciso vostra nipote.»

«No!» gridò Felix improvvisamente. «Non fare lo stupido, Maxie! Tienilo fuori da questa storia!»

La voce di Felix sembrò risvegliare in Proctor la coscienza del luogo dove si trovava. Concentrò su di lui la sua attenzione e non sembrò manifestare alcuna simpatia per l'uomo che aveva parlato.

«Così non dovrei restare! E supponiamo che invece voglia rimanere. Ho il diritto di sapere quello che sta succedendo.» Passò in rassegna con sguardo iroso i volti sospettosi e ostili dei presenti. «Vi piacerebbe che il colpevole fossi io, eh? Ne sareste felici, tutti quanti. Non crediate che non lo sappia. Vi piacerebbe appiopparmi tutta la colpa, se poteste. Se Sally fosse stata avvelenata, o uccisa con un colpo in testa sarei stato nei guai. Peccato che uno di voi non abbia resistito a metterle le mani addosso, eh? Ma c'è una cosa di cui non potrete mai appiopparmi la colpa, ed è uno strangolamento. Perché? Ecco perché!»

Ebbe improvvisamente un movimento convulso, seguito da un click e da un momento di pura, incredibile comicità, quando la sua mano destra, un arto artificiale, si staccò e cadde con un tonfo sul tavolo di Dalgleish. I presenti fissarono, affascinati, l'oscena reliquia, con le dita di gomma curve in un gesto di supplica impotente. Respirando affannosamente, Proctor afferrò una sedia con un rapido movimento della mano sinistra e sedette trionfante, seguito dallo sguardo riprovevole di Catherine, che sembrava sul punto di sgridare un paziente troppo petulante.

Dalgleish prese la mano.

«Sapevamo di quest'arto, naturalmente, anche se devo dire che esso si presentò alla mia attenzione in modo meno spettacolare. Il signor Proctor ha perso la mano destra durante un bombardamento. Questo ingegnoso marchingegno, che la sostituisce, è fatto di lino misto a colla, opportunamente sagomato. È leggero e resistente e ha tre dita articolate con giunture sulle nocche, esattamente come le mani vere. Flettendo la spalla sinistra e spostando leggermente il braccio dal corpo, il suo proprietario può tendere un filo di comando che congiunge la spalla al pollice. Il filo fa aprire il pollice per mezzo di una molla. Allentando la tensione della spalla, la molla fa sì che il pollice si chiuda automaticamente, serrandosi contro l'indice, che è fisso. Come vedete, è un attrezzo ingegnoso e il signor Proctor riesce a farci un sacco di cose. Ci lavora, va in bicicletta e normalizza il proprio aspetto esteriore agli occhi del mondo. Ma c'è una cosa che non può assolutamente fare, uccidere una persona con la tecnica dello strangolamento manuale.»

«Ma potrebbe essere mancino.»

«Potrebbe, ma non lo è, signorina Bowers, e le prove dimostrano che Sally fu uccisa dalla stretta di una mano destra piuttosto robusta.» Rigirò la mano e la spinse attraverso il tavolo, verso Proctor. «Era sempre questa, naturalmente, la mano che un certo ragazzino aveva visto nell'atto di chiudere la botola della stalla di Bocock. C'era una sola persona che avrebbe potuto indossare dei guanti di pelle alla festa, in una giornata calda come quella. Questa fu una prova della sua identità, ma ve ne furono altre. La signorina Bowers ha ragione. Proctor era a Martingale, sabato pomeriggio.»

«E con questo? Era stata Sally a chiedermi di venire. Era mia nipote, no?»

«Oh, via, Proctor» disse Felix. «Non vorrete farci credere che fosse una semplice visita di cortesia, che siete venuto solo per vedere come stava la ragazza. Quanto voleva?»

«Trenta sterline» disse Proctor. «Voleva trenta sterline, ma che cosa potrebbe farsene, ora?»

«E avendo bisogno di trenta sterline» continuò Felix spietatamente «si rivolse naturalmente al parente più prossimo che avrebbe potuto aiutarla. È una storia commovente.»

Prima che Proctor potesse rispondere, intervenne Dalgleish:

«Chiedeva trenta sterline, perché voleva avere da parte qualche soldo per quando fosse tornato il marito. Si erano messi d'accordo che lei avrebbe lavorato e messo da parte quello che poteva. E lei voleva mantenere a tutti i costi quella promessa, anche col bambino di mezzo. Intendeva farsi dare quei soldi dallo zio, avvalendosi di un metodo piuttosto comune. Gli disse che stava per sposarsi, senza dirgli con chi, e che lei e il marito avrebbero svelato a tutti come lo zio l'aveva trattata, a meno che lui non li pagasse per il loro silenzio. Minacciò di svergognarlo presso i suoi datori di lavoro e presso i vicini di casa. Accennò al fatto di essere stata depauperata di quel che le spettava. Se, invece, decideva di pagare, né lei, né il marito si sarebbero più fatti vedere e non lo avrebbero più disturbato.»

«Ma questo era un ricatto» esclamò Catherine. «Avrebbe dovuto dirle di fare quello che voleva. Nessuno le avrebbe creduto. Se fossi stata al suo posto, non avrebbe avuto neanche un penny!»

Proctor sedeva in silenzio. Gli altri sembravano essersi dimenticati della sua presenza. Dalgleish proseguì:

«Sono convinto che il signor Proctor avrebbe accettato molto volentieri il vostro consiglio, signorina Bowers, se solo Sally non avesse pronunciato quella frase. Aveva detto che era stata defraudata da quello che le spettava. Probabilmente, voleva dire semplicemente che tra lei e la cuginetta c'era stata una certa disparità di trattamento, anche se la signora Proctor è pronta a negarlo. O forse voleva dire qualcosa di più di quanto non possiamo immaginare. Ma per vari motivi, che non è il caso di discutere adesso qui, quella frase mise in allarme il signor Proctor. La sua reazione dovette essere interessante e Sally, che era intelligente, fiutò subito la traccia. Il signor Proctor è un pessimo attore. Cercò di scoprire quanto la nipote sapeva e più indagava, più scopriva le proprie carte. Quando si lasciarono, Sally sapeva che le trenta sterline, e forse anche di più, erano già praticamente nelle sue mani.»

La voce gracchiante di Proctor lo interruppe.

«Le ho detto che volevo una ricevuta. Sapevo quel che stava cercando di fare. Le ho detto che questa volta l'avrei aiutata, perché stava per sposarsi e avrebbe avuto delle spese, ma che sarebbe stata l'ultima volta. Se ci avesse provato ancora, sarei andato alla polizia e avrei avuto la ricevuta come prova.»

«Non ci avrebbe provato ancora» disse Deborah, con voce pacata. Gli uomini la guardarono. «Non Sally. Stava solo giocando con voi, tirava i fili per il gusto di vedervi ballare. Se oltre al divertimento fosse anche riuscita a guadagnare le trenta sterline, tanto meglio, ma quello che in realtà l'attirava era farvi sudare. Ma non avrebbe perso altro tempo con voi. Dopo un po', il gioco diventava monotono. A Sally piaceva il sapore della carne fresca.»

«Oh, no, no.» Eleanor Maxie aprì le mani in un timido gesto di protesta. «Non era veramente così. Non l'abbiamo mai capita, in realtà.»

Proctor la ignorò e improvvisamente e sorprendentemente sorrise a Deborah, come per accettarne l'alleanza.

«È vero. Lei era proprio così. Mi faceva ballare sulla corda. Aveva pensato a tutto. Dovevo procurarmi le trenta sterline quella notte stessa e portargliele. Mi costrinse a seguirla fin dentro in casa, in camera sua. Passai un brutto quarto d'ora. È stato in quella occasione che mi avete visto sulle scale. Mi ha mostrato la porta di servizio e mi ha detto che a mezzanotte l'avrebbe lasciata aperta. Io dovevo restare nascosto tra gli alberi in fondo al giardino, finché lei non avesse acceso e spento di nuovo la luce della sua camera. Quello era il segnale.»

Felix scoppiò a ridere.

«Povera Sally. Che esibizionista! Voleva il brivido a tutti i costi, anche a costo della vita!»

«Alla fine, infatti, questo è stato il prezzo che ha dovuto pagare» disse Dalgleish. «Se non si fosse divertita a giocare con la gente, oggi Sally sarebbe ancora viva.»

«Era di uno strano umore, quel giorno» rammentò Deborah. «Sembrava come ammattita. Non mi riferisco solo al fatto di copiare il mio vestito o di far finta di accettare la proposta di Stephen. Era in vena di scherzi come un bambino. Forse era il suo modo di dar sfogo alla felicità.»

«Quando è andata a letto era felice» disse Stephen. E di colpo tutti zittirono, immersi nei ricordi.

Da qualche parte, un orologio batté dolcemente, ma distintamente le ore, ma non si udivano altri suoni, eccetto il lieve fruscio di carta prodotto da Dalgleish nel girare una pagina del dossier. Là fuori, fredda e silenziosa, si inerpicava la scala, che Sally aveva salito quella sera, portando con sé la bevanda calda per la notte. Tendendo le orecchie, sembrò loro quasi di udire il soffice tonfo di una palla di gomma, il fruscio della lana sui gradini e l'eco di una risata. Fuori, nel buio, si distinguevano appena i confini delle aiuole e la luce accesa sulla scrivania vi rifletteva una serie di lanterne cinesi che dondolavano nella notte profumata. Non c'era forse il sospetto che una veste bianca, un ciuffo di capelli volteggiassero in mezzo a loro? Sopra le loro teste c'era la stanza di Sally, che ora era vuota, bianca e asettica come una stanza d'obitorio. Chi di loro si sarebbe sentito in animo di salire quella scala e di aprire quella porta, col terrore di scoprire che quel letto non era vuoto? Deborah ebbe un tremito e parlò per tutti:

«Per favore» supplicò. «Per favore, diteci che cosa è successo!»

Dalgleish alzò gli occhi e la guardò. Poi continuò con voce profonda e uniforme.

 

35

 

«Credo che l'assassino sia entrato nella stanza di Sally solo per cercare di scoprire quali erano, esattamente, le intenzioni della ragazza, quali erano i suoi sentimenti, in che misura essa rappresentasse un pericolo. Forse aveva anche in animo di supplicarla - per quanto, non lo credo probabile. È assai più plausibile che avesse l'intenzione di stipulare una specie di accordo. Il visitatore andò verso la camera di Sally e bussò, o forse entrò direttamente. Si trattava, infatti, di una persona dalla quale Sally non aveva nulla da temere. Sally era già svestita e a letto. Doveva aver sonno, ma aveva bevuto solo una parte della cioccolata e non era drogata, solo troppo stanca per aver voglia di sostenere una discussione. Non si è neppure alzata dal letto o non si è messa la vestaglia. Per quel che siamo riusciti ad apprendere sul suo carattere, è presumibile che se il visitatore fosse stato un uomo, invece, se la sarebbe messa. Ma una prova di questo genere ha ben scarso valore. Non sappiamo ancora con precisione quel che sia successo. Sappiamo solo che, quando il visitatore lasciò la stanza, Sally era morta! Se partiamo dal presupposto che l'omicidio non fu premeditato, possiamo azzardare qualche ipotesi. Sappiamo, ora, che Sally era sposata, che amava suo marito e aspettava che venisse a prenderla, forse lo attendeva a giorni. Dal modo in cui si comportava con Derek Pullen e dalla cura che poneva nel mantenere i suoi segreti, possiamo arguire che il senso di potere che le derivava dalla conoscenza esclusiva di certe cose le piacesse immensamente. Pullen ha detto: "Le piacevano le cose dolci". Una donna che ho intervistato, e alle cui dipendenze Sally aveva lavorato, mi ha detto: "Era una ragazza misteriosa. È stata qui tre anni, e alla fine non sapevo nulla di lei più di quanto non ne sapessi il primo giorno che l'ho assunta". Sally Jupp seppe tener nascosta la notizia del proprio matrimonio anche nelle situazioni più difficili. Il suo non era un comportamento razionale. Suo marito era all'estero e se la cavava bene. La ditta non aveva nessuna intenzione di licenziarlo e probabilmente la notizia non sarebbe giunta fin laggiù. Se Sally avesse detto la verità, qualcuno avrebbe potuto aiutarla. Probabilmente, mantenne il segreto in parte per dar prova di fedeltà e lealtà, e in parte era una di quelle persone sulle quali i segreti esercitano un fascino irresistibile. Inoltre, ciò le dava la possibilità di fare del male agli zii, per i quali non provava alcun affetto, e le procurava notevole divertimento. E, come se non bastasse, le consentiva di disporre gratuitamente di una casa per sette mesi. Suo marito mi ha detto che "Sally diceva sempre che le ragazze madri se la passano meglio di chiunque altro". Probabilmente nessuno di voi è d'accordo con questa affermazione, ma evidentemente Sally era convinta di vivere in una società che preferiva mettersi in pace la coscienza, aiutando le persone sfortunate che presentavano qualche interesse, piuttosto che dei poveracci qualunque che se lo meritavano di più: e ha avuto la possibilità di verificare questa sua teoria. Credo si sia divertita al Ricovero St. Mary. Probabilmente, la consapevolezza di essere diversa dalle altre la aiutava molto. E sono anche convinto che assaporava in anticipo il piacere di vedere la faccia della signorina Liddell, quando avrebbe scoperto la verità, e il godimento che avrebbe provato ad imitare per il marito le ospiti del Ricovero. Immaginatevi la scena: "Chiedete a Sal di raccontarvi di quando era una ragazza madre". E poi, ripeto, il senso di potere che le derivava dalla conoscenza esclusiva di certe cose la eccitava. La divertiva vedere i Maxie costernati dinanzi ad un pericolo che solo lei sapeva in realtà essere del tutto inesistente.»

Deborah si agitò sulla sedia con palese imbarazzo.

«Pare che sappiate un bel po' di cose sul suo conto. Ma se sapeva già che il fidanzamento era fasullo, perché lo ha accettato? Se avesse detto a Stephen la verità, avrebbe risparmiato a tutti un sacco di preoccupazioni.»

Dalgleish le lanciò un'occhiata di traverso.

«Si sarebbe salvata la vita. Ma era da lei svelare tutto? Ormai non mancava molto. Suo marito sarebbe arrivato presto, forse nel giro di un paio di giorni. La proposta del dottor Maxie costituiva solo un'ulteriore complicazione, che però contribuiva a rendere più eccitante e divertente la situazione. Badate, non aveva mai accettato esplicitamente la proposta. No, il suo comportamento fu esattamente quello che si sarebbe potuto prevedere. Era evidente che la signora Riscoe le era antipatica e, man mano che si avvicinava il giorno del ritorno di suo marito, Sally si sentiva sempre più libera di darlo a vedere apertamente. La proposta di fidanzamento le offrì una nuova possibilità per divertirsi. Quando ricevette la visita del suo assassino, mi immagino che fosse a letto, beata, un po' assonnata, ma felice, e forse pensava di tenere in pugno non solo la famiglia Maxie e la situazione in generale, ma il mondo intero. Non una sola persona, della dozzina che ho intervistato, l'ha descritta come una ragazza gentile e buona. Non credo che sia stata gentile con chi venne a trovarla in camera. Ma questa volta aveva sottovalutato i sentimenti dell'avversario, la rabbia e la disperazione che albergavano nell'animo del suo assassino. Forse ne rise, ma a quel punto due mani robuste le si strinsero intorno al collo!»

Seguì un attimo di silenzio, rotto dalla brusca osservazione di Felix Hearne:

«Avete sbagliato mestiere, ispettore. Il vostro istrionismo drammatico sarebbe degno di più vasto pubblico.»

«Non fare l'idiota, Hearne.» Stephen Maxie alzò gli occhi. Il volto completamente sbiancato mostrava i segni di una profonda stanchezza. «Non vedi che gode già abbastanza delle nostre reazioni?» Si volse verso Dalgleish, con un improvviso scoppio d'ira. «Ma le mani di chi?» domandò. «Che senso ha continuare con questa farsa? Le mani di chi?»

Dalgleish lo ignorò.

«L'assassino si avvia verso la porta e spegne la luce. Sta per fuggire. Poi, forse è colto da un dubbio. Il bisogno di accertarsi ancora una volta che Sally Jupp sia veramente morta, magari. O forse il bambino si agita nel sonno e non vuole lasciarlo piangere da solo nella stanza, con la mamma morta. Oppure, più egoisticamente, teme che i suoi strilli sveglino qualcuno prima che gli sia possibile dileguarsi. Comunque sia, accende per un attimo la luce. L'accende e subito la spegne di nuovo. Nascosto in fondo al prato, sotto gli alberi, Sydney Proctor vede quello che crede essere il segnale convenuto. Non ha orologio. Deve basarsi esclusivamente sulla luce della stanza di Sally. Sempre tenendosi nascosto all'ombra degli alberi e dei cespugli, costeggia il prato e si dirige verso la porta di servizio.»

Dalgleish s'interruppe e tutti i presenti si volsero verso Proctor. Sembrava tornato in sé, più calmo e meno truculento. Riprese con naturalezza il racconto dove Dalgleish l'aveva interrotto, come se il ricordo di quella terribile notte e l'interesse vivo e attento dei presenti lo avessero liberato da ogni imbarazzo o senso di colpa. Ora che non aveva più bisogno di difendersi, forse sarebbero stati disposti a sopportarlo. Anche lui, come loro, era stato, in un certo senso, una vittima di Sally. Ascoltando la sua storia, i presenti si fecero partecipi della disperazione e della paura che l'avevano condotto fino alla porta di Sally.

«Credetti di non aver visto accendersi la prima luce. Lei aveva detto che avrebbe acceso la luce due volte, perciò aspettai ancora un po'. Poi decisi di tentare. Che senso aveva stare nascosto lì fuori? Se ero arrivato a quel punto, tanto valeva andare fino in fondo. Perlomeno, le avrei fatto vedere che avevo tentato. Non era stato facile tirar su le trenta sterline. Ho prelevato quel che avevo sul conto postale, ma erano appena dieci sterline. A casa non avevo molto, solo un po' di soldi che avevo messo da parte per il televisore. Ho preso anche quelli e sono andato a impegnare l'orologio in un negozio di Canningbury. L'impiegato deve aver visto che avevo bisogno urgente di soldi, e non mi ha dato quello che valeva veramente. Comunque, avevo raggranellato abbastanza per convincerla a tenere la bocca chiusa. Avevo anche preparato una ricevuta da farle firmare. Non volevo correre rischi, dopo la discussione nella stalla. Le avrei consegnato il denaro, le avrei fatto firmare la ricevuta e sarei tornato subito a casa. Se avesse tentato qualche altro scherzo l'avrei minacciata di denunciarla per ricatto. In quel caso, la ricevuta mi sarebbe tornata utile, ma non credevo che ce ne sarebbe stato bisogno. Voleva solo i soldi, poi mi avrebbe lasciato in pace. Che senso c'era a provare di nuovo? Non posso mica raggranellare i soldi a comando, e Sally lo sapeva bene. Non era mica stupida, la piccola Sally. La porta era aperta, proprio come aveva detto, avevo la torcia elettrica, perciò non mi è stato difficile trovare la scala e arrivare alla sua camera. Mi aveva fatto vedere dov'era quel pomeriggio. Era un giuoco da ragazzi. La casa sembrava una tomba. Pareva quasi disabitata. La porta di Sally era chiusa e non filtrava luce né dalla serratura né da sotto la porta. Questo mi è sembrato strano. Mi sono chiesto se era il caso di bussare, ma non volevo far rumore. C'era un silenzio che metteva quasi paura. Alla fine, ho aperto la porta e l'ho chiamata a bassa voce. Non ha risposto. Allora ho puntato la luce della torcia nella stanza e sul letto. Era lì, sdraiata. In un primo momento, ho pensato che dormisse e - beh, era un po' come una tregua. Volevo lasciarle i soldi sul cuscino, poi mi sono detto: "Al diavolo, perché dovrei?". Era stata lei a chiedermi di venire ed era lei che doveva star sveglia. E poi, non vedevo l'ora di tagliare la corda. Non so che cosa mi ha fatto capire che non stava dormendo. Mi sono avvicinato al letto. Allora ho capito che era morta. È buffo come non ci si possa sbagliare, in queste cose. Non stava male e non era svenuta. Sally era morta. Un occhio era chiuso, ma l'altro semiaperto. Sembrava che mi guardasse, perciò ho allungato la mano e le ho abbassato la palpebra. Non so perché l'ho toccata. È stata un'idea stupida. Ma non ho potuto fare a meno di chiudere quell'occhio che mi fissava. Le lenzuola erano ripiegate fin sotto il mento, come se qualcuno gliele avesse rimboccate. Le ho tirate giù e ho visto i segni sul collo. Fino a quel momento la parola "omicidio" non mi era neppure passata per la mente. Ma quando ci ho pensato, beh, credo di aver perso la testa. Avrei dovuto sapere che, con la mia mano, nessuno avrebbe potuto sospettare di me, ma quando si è spaventati non si riesce a fare questo tipo di ragionamenti. Avevo ancora la torcia in mano e tremavo tanto che la luce le sballonzolava tutt'intorno alla testa. Non riuscivo a tenerla ferma. Stavo cercando di riflettere, di decidere cosa fare. Poi mi resi conto che lei era morta e io ero nella sua stanza, col denaro in tasca. Potete ben immaginare quel che avrebbe pensato la gente. Sapevo che dovevo andar via subito. Non ricordo di essere arrivato alla porta, ma ormai era troppo tardi. Sentivo dei passi che venivano dal corridoio. Erano ancora lontani e, normalmente, non li avrei uditi, ma ero così spaventato che sentivo i battiti del mio cuore. In un secondo, ho tirato il chiavistello della porta e mi ci sono appoggiato contro, trattenendo il fiato. C'era una donna fuori dalla porta. Ha bussato piano e ha chiesto: "Sally. Stai dormendo?". Parlava così piano che mi chiedo come potesse sperare di farsi sentire. Ma forse non le importava granché. Dopo ci ho pensato molto, ma al momento non ho certo aspettato di vedere quello che avrebbe fatto. Avrebbe potuto bussare più forte e svegliare il bambino o magari avrebbe potuto sospettare qualcosa e chiamare gente. Dovevo sparire. Fortunatamente, mi tengo abbastanza in forma e non soffro di vertigini. Non che fosse molto alto comunque. Sono uscito dalla finestra laterale, quella riparata dagli alberi, e la canna fumaria era a portata di mano. Alle mani non potevo farmi niente e le scarpette da bicicletta mi aiutavano a far presa con i piedi. Sono caduto che mancavano pochi metri e mi sono stortato la caviglia, ma sul momento non ho sentito niente. Senza neppure voltarmi, sono corso al riparo sotto gli alberi. Poi ho guardato indietro e ho visto che la camera di Sally era ancora al buio. Mi sono sentito quasi in salvo. Avevo nascosto la bici nella siepe di fianco al prato e vi assicuro che ero ben contento di rivederla. È stato quando sono montato in sella che mi sono accorto del piede. Non riuscivo a pedalare. Però ce l'ho fatta lo stesso. Intanto, stavo escogitando un piano. Mi dovevo procurare un alibi. Quando sono arrivato a Finchworthy ho fatto finta di avere un incidente. Non è stato difficile. È una strada poco frequentata, fiancheggiata sulla sinistra da un muro piuttosto alto. Ci sono andato addosso con la bicicletta, senza frenare, finché la ruota davanti non si è stortata. Poi ho tagliato il copertone con il coltello. Quanto a me, non avevo bisogno di fingere. Andavo bene così. La caviglia mi si era gonfiata e mi sentivo male veramente. A un certo punto, deve aver cominciato a piovere, anche se non ricordo la pioggia, perché mi sono sentito bagnato e intirizzito. C'è voluto un po' prima di riuscire a trascinare me stesso e la bicicletta fino a Canningbury e sono arrivato a casa all'una passata. Non dovevo far rumore, perciò ho lasciato la bicicletta in giardino e sono entrato in casa. Non dovevo assolutamente svegliare mia moglie prima di avere la possibilità di spostare le lancette dei due orologi al pianterreno. In camera da letto non abbiamo né sveglia né orologio. Di solito caricavo il mio, quello d'oro e lo mettevo sul comodino. Se solo fossi riuscito ad entrare senza svegliare mia moglie, potevo considerarmi in salvo. Ma sono stato sfortunato. Doveva essere già sveglia, in attesa di sentire aprire la porta, perché si è affacciata in cima alle scale e mi ha chiamato. Ne avevo avuto abbastanza, a quel punto, e le ho gridato di tornare a letto, che sarei andato subito. Ha fatto come le ho detto - di solito mi obbedisce - ma sapevo che prima o poi sarebbe ricomparsa di nuovo. Ma avevo una possibilità. Nel tempo che avrebbe impiegato a mettersi la vestaglia e a scendere pigramente da basso, avrei potuto spostare le lancette degli orologi sulla mezzanotte. Poi ha insistito per farmi una tazza di tè. Io non ne potevo più che se ne tornasse a letto prima che l'orologio del paese suonasse le due. Quella era una cosa che avrebbe potuto notare. Comunque, alla fine sono riuscito a riportarla di sopra e si è addormentata quasi subito. Io no, invece, ve l'assicuro. Mio Dio, non voglio passare mai più una notte come quella! Potete dire quello che volete su di noi e sul modo in cui abbiamo trattato Sally. Secondo me, non se l'è passata poi troppo male, in casa nostra. Ma se poi si è sentita maltrattata, beh, la puttanella ha avuto quel che si meritava, quella notte.»

Gettò quell'epiteto in faccia al suo pubblico, poi, nel silenzio generale, borbottò qualcosa che forse erano delle scuse e si coprì il viso con quella sua grottesca mano destra. Per qualche minuto, nessuno parlò. Poi Catherine disse:

«Non siete venuto all'inchiesta, vero? Al momento ci siamo chiesti perché, ma qualcuno ha detto che eravate malato. Avevate paura di essere riconosciuto? Ma avreste già dovuto sapere com'era morta Sally, e che perciò nessuno poteva sospettare di voi.»

Per l'emozione, e quasi senza rendersi conto, Proctor aveva narrato la sua storia con eloquio fluente e senza titubanze. Ora provava di nuovo il bisogno di giustificarsi e riacquistò la primitiva tracotanza.

«Perché avrei dovuto venire? In ogni caso non avrei potuto, perché non stavo bene. Certo che sapevo com'era morta. Qualcuno della polizia era stato da noi domenica mattina e ce l'aveva detto. Mi ha anche chiesto quando l'avevo vista l'ultima volta, ma io avevo già una storia pronta. Pensate che avrei dovuto dirgli tutto quello che sapevo? Beh, non l'ho fatto! Sally mi aveva già causato abbastanza guai da viva e, se potevo evitarlo, non volevo che me ne procurasse altri anche da morta. Non vedevo per quale motivo sarei dovuto andare a raccontare i fatti miei in tribunale. Non è facile spiegare una cosa del genere. La gente può mettersi in testa strane idee.»

«Oppure, peggio ancora, può capire fin troppo bene certe cose» osservò Felix, asciutto.

Il viso scarno di Proctor divenne scarlatto. Si alzò e, volgendo deliberatamente le spalle a Felix, si rivolse a Eleanor Maxie.

«Vogliate scusarmi, ma ora devo andare. Non era mia intenzione mettermi di mezzo. Volevo solo parlare con l'ispettore. Spero sinceramente che tutto si aggiusti nel migliore dei modi, ma è chiaro che la mia presenza qui non è gradita.»

"Parla come se fossimo sul punto di partorire" pensò Stephen.

Il desiderio di asserire la propria indipendenza da Dalgleish e di mostrare che almeno uno della famiglia poteva considerarsi libero lo spinse a chiedere:

«Posso accompagnarvi a casa? L'ultimo autobus è partito alle otto.»

Proctor fece un gesto di rifiuto, evitando di guardare Stephen in viso.

«No, grazie. Ho la bicicletta qui fuori. Me l'hanno sistemata bene, tutto considerato. Non disturbatevi, so dov'è l'uscita.»

E stava lì con le mani guantate penzoloni, una figura sgradevole e patetica, ma non priva di dignità.

"Perlomeno" pensò Felix "riesce a capire quando non è gradito."

Improvvisamente con un gesto brusco e rigido, Proctor tese la mano sinistra a Eleanor Maxie, che la strinse.

Stephen lo accompagnò alla porta. Durante la sua assenza, nessuno parlò. Felix sentì che la tensione cresceva e le sue narici si aprirono all'odore familiare della paura. Avrebbero dovuto saperlo, ormai. Tutto era stato detto, mancava solo il nome. Ma fino a che punto accettavano di riconoscere la verità? Con le palpebre socchiuse, osservò i suoi compagni. Deborah era stranamente tranquilla, come se l'aver posto fine alle menzogne e agli inganni le avesse portato anche la calma. Era convinto che Deborah non avesse idea di quanto l'attendeva. Eleanor Maxie era grigia in volto, ma sedeva tranquilla con le mani in grembo. I suoi pensieri sembravano volti altrove. Catherine Bowers, invece, era rigida, impettita, con le labbra serrate in un'espressione di disapprovazione. Poco prima, Felix aveva pensato che si stesse divertendo. Ora non ne era più tanto sicuro. Notò, con sardonica soddisfazione, le sue mani contratte e il tic nervoso agli angoli degli occhi.

D'un tratto, Stephen rientrò e Felix sbottò:

«Non è durata abbastanza questa storia? Ormai sappiamo tutto. La porta di servizio è rimasta sempre aperta, finché Stephen non l'ha chiusa, alle dodici e trentatré. Poco prima, qualcuno era entrato e aveva ucciso Sally. La polizia non ha scoperto chi è stato e probabilmente non lo scoprirà mai. Potrebbe essere stato chiunque. Propongo che nessuno di noi dica più una sola parola.» Si guardò intorno. Era un chiaro avvertimento.

Molto gentilmente, Dalgleish s'informò:

«State forse cercando di dirci che un perfetto sconosciuto è penetrato in casa, senza rubare nulla, si è recato indisturbato in camera di Sally e l'ha strangolata, mentre lei senza provare neppure a chiamare aiuto, lo lasciava tranquillamente fare, sdraiata sul letto?»

«Forse l'aveva invitato lei, chiunque fosse» azzardò Catherine.

Dalgleish si voltò verso di lei:

«Ma stava aspettando Proctor. Dubito che volesse trasformare quel piccolo regolamento di conti in un festino. E poi, chi avrebbe dovuto invitare? Abbiamo controllato tutte le persone che conosceva.»

«Per amor del cielo, piantatela» gridò Felix. «Non capite che cosa sta cercando di farvi fare? Non ha nemmeno una prova!»

«Davvero?» mormorò Dalgleish. «Non sarei tanto sicuro se fossi in voi.»

«Perlomeno, sappiamo chi non è stato» disse Catherine. «Non è stato Stephen, e neppure Derek Pullen, poiché hanno tutti e due un alibi, e non è stato il signor Proctor, perché ha quella mano artificiale. Sally non avrebbe potuto essere uccisa dallo zio.»

«No» continuò Dalgleish. «E neppure da Martha Bultitaft, che non sapeva come la ragazza era morta, finché non gliel'ha detto Hearne. E neppure da voi, signorina Bowers, che avete bussato alla sua porta, cercando di parlare, dopo che era già morta. E nemmeno dalla signora Riscoe, le cui unghie avrebbero inevitabilmente lasciato il segno. Nessuno può farsi crescere delle unghie così da un giorno all'altro, e l'assassino non aveva i guanti. Infine, con sua buona pace, neppure dal signor Hearne, che non sapeva in che stanza dormisse Sally. Ha dovuto chiedere al signor Maxie dove doveva appoggiare la scala.»

«Solo uno stupido avrebbe dato a vedere di saperlo. Avrei potuto fare finta.»

«Solo che non facevi finta» lo investì Stephen. «Tienti per te questa tua maledetta mania di proteggerci. Tu eri l'ultima persona che potesse desiderare la morte di Sally. Se Sally fosse rimasta qui, forse Deborah avrebbe acconsentito a sposarti. Credimi, non ci saresti riuscito in nessun altro modo. Ora non ti sposerà più, e lo sai bene.»

Eleanor Maxie si alzò sommessamente:

«Sono andata in camera sua a parlarle. Il matrimonio sarebbe potuto anche andare bene, se lei fosse stata veramente innamorata di mio figlio. Volevo sapere quali fossero, veramente, i suoi sentimenti. Ero stanca e avrei dovuto aspettare il mattino dopo. Era a letto e canticchiava tra sé. Sarebbe andato tutto bene, se non avesse fatto due cose. Mi ha riso in faccia. E, poi, Stephen, mi ha detto che aspettava un figlio da te. È successo tutto così in fretta. Prima era viva, e rideva. Un attimo dopo era una cosa morta nelle mie mani.»

«Allora sei stata tu!» disse Catherine in un soffio.

«Certo» disse gentilmente la signora Maxie. «Pensaci un attimo. Chi altro poteva averlo fatto?»

 

36

 

I Maxie pensarono che finire in prigione doveva essere un po' come andare in ospedale, solo che la reclusione era ancor meno volontaria. Ma entrambe erano esperienze anomale e abbastanza terrificanti, alle quali le vittime reagivano con clinico distacco e i parenti con il forzoso buonumore di chi vuol rincuorare senza dar l'impressione di essere insensibile. Eleanor Maxie, scortata da una donna poliziotto pacifica e discreta, si apprestò a godersi il piacere di un ultimo bagno in casa sua. Aveva chiesto con insistenza di poterlo fare e, come avviene quando si fanno gli ultimi preparativi per l'ingresso in ospedale, nessuno si sentì di dirle che il bagno era una delle prime formalità alle quali avrebbe dovuto sottoporsi prima dell'ammissione. O forse c'era qualche differenza tra i carcerati in attesa di processo e quelli già condannati. Felix, probabilmente, avrebbe potuto dirlo, ma nessuno si curò di chiederglielo. L'auto della polizia attendeva sul retro della casa, vigile e discreta come un'ambulanza. Vi furono poi le ultime raccomandazioni, i messaggi agli amici, le ultime telefonate e il frettoloso preparativo dei bagagli. Il signor Hinks giunse dalla parrocchia, trafelato ma non sorpreso, e cercò di farsi coraggio per dare conforto e consiglio, ma evidentemente ne aveva così bisogno lui stesso che Felix finì per prenderlo a braccetto e lo riaccompagnò alla parrocchia. Da una finestra, Deborah li vide scomparire e per un attimo si chiese di che cosa stessero parlando. Quando imboccò le scale per salire da sua madre, Dalgleish stava telefonando, nell'ingresso. I loro sguardi si incontrarono. Per un attimo credette che lui stesse per dire qualcosa, ma poi chinò di nuovo la testa per parlare nella cornetta e Deborah proseguì per la sua strada. Improvvisamente, ma senza eccessiva sorpresa, capì che, se le circostanze fossero state diverse, era quello l'uomo al quale si sarebbe rivolta a chiedere consiglio e protezione.

Stephen, rimasto solo, sentì tutto il peso della propria infelicità. Era un dolore insopportabile, che non aveva nulla a che vedere con l'insoddisfazione e la noia che, fino ad allora, aveva scambiato per quello stesso sentimento. Si era versato due volte da bere, ma aveva capito subito che i liquori non avrebbero rimediato a nulla. Aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse e lo rincuorasse, confermandogli l'evidente iniquità di quella pena. Andò in cerca di Catherine.

La trovò inginocchiata dinanzi a uno scatolone in camera di sua madre, intenta ad avvolgere brocche e bottiglie in carta velina. Quando alzò lo sguardo verso di lui, vide che aveva pianto. Ne fu sorpreso e irritato. Non c'era posto, in quella casa, per un dolore inferiore al suo. Catherine non aveva mai saputo piangere in modo convincente. Forse era per questo che aveva imparato così presto a sopportare stoicamente ogni tipo di sofferenza. Stephen decise di ignorare questa intrusione nella sua infelicità.

«Cathy» disse. «Perché mai ha confessato? Hearne aveva perfettamente ragione. Non sarebbero mai riusciti a provarlo, se lei non avesse detto nulla.»

L'aveva chiamata Cathy un'unica volta, prima di allora, e anche quella volta aveva voluto qualcosa da lei. Anche durante l'amore fisico, quel vezzeggiativo le era suonato falso. Lo guardò.

«Non la conosci molto bene, vero? Aspettava solo che tuo padre morisse per confessare. Non voleva lasciarlo e gli aveva promesso che non l'avrebbero fatto ricoverare. Solo per questo è stata zitta. Aveva raccontato di Sally al signor Hinks, quando l'aveva accompagnato in canonica, oggi pomeriggio.»

«Ma se n'è stata lì seduta, calma e tranquilla, mentre noi discutevamo!»

«Credo che volesse solo sapere esattamente che cos'era accaduto. Nessuno le aveva mai detto niente. Credo soprattutto che l'angosciasse l'idea che fossi stato tu a entrare in camera di Sally e a chiudere la porta.»

«Lo so. Ha cercato di chiedermelo. Credevo che mi stesse domandando se avevo ucciso Sally. Dovranno ridurle la pena. Il delitto non era premeditato, dopo tutto. Ma perché Jephson non si sbriga a venire? Gli abbiamo telefonato.»

Catherine stava esaminando dei libri che aveva preso dal tavolo, a fianco del letto, per decidere se doveva impacchettarli oppure no. Stephen continuò:

«Ma comunque la manderanno in prigione. La mamma in prigione! Cathy, non credo che riuscirò a sopportarlo!»

E Catherine, che aveva imparato ad amare e a rispettare profondamente Eleanor Maxie e non era sicura neppure lei di riuscire a sopportarlo, perse la pazienza.

«Non potrai sopportarlo! Questa è bella! Non dovrai sopportare niente, tu. Sarà lei! E sei stato tu a mandarcela, ricordatelo!»

Una volta che ebbe cominciato, Catherine non riuscì più a frenarsi e la sua ira si espresse su cose molto più personali.

«E c'è ancora una cosa, Stephen. Non so che cosa provi per noi... o per me, se preferisci. Ma non voglio parlarne più, perciò ti dico una volta per tutte che è finita. Oh, per l'amor del cielo, togli i piedi da questa carta da imballaggio! Sto cercando di mettere via questa roba!»

Ora piangeva veramente, come un animale o un bambino. Le parole s'erano impastate, cosicché non poté far altro che udirne il suono.

«Un tempo ti amavo, ma ora non più. Non so che cosa tu voglia, adesso, ma non ha più nessuna importanza. È finita!»

E Stephen, che non aveva mai pensato seriamente, neppure per un momento, che potesse durare, guardò quel viso macchiato, quegli occhi gonfi e protuberanti e provò uno spasimo irrazionale di dolore e di rimpianto.

 

37

 

Un mese dopo che Eleanor Maxie era stata riconosciuta colpevole di omicidio col minimo della pena, Dalgleish passò da Chadfleet diretto a Londra, di ritorno da una delle sue rare vacanze sull'estuario dell'Essex, dove aveva una barca a vela di dieci metri. Non aveva deviato di molto dal suo tragitto abituale, ma decise di non sottoporre a un'analisi troppo rigorosa i motivi che l'avevano spinto a percorrere tre miglia in più lungo quelle strade ombrose e piene di curve. Passò davanti al cottage dei Pullen. Nel soggiorno la luce era accesa e l'ombra del cane alsaziano si stagliava netta dietro le tendine. Ed ecco il Ricovero St. Mary. L'edificio sembrava disabitato e solo una carrozzella davanti al portone d'ingresso indicava che l'interno era popolato da esseri viventi. Anche il paese era deserto, immerso nella calma sonnacchiosa delle cinque, l'ora del tè. Passando davanti al negozio di Wilson vide che si stavano abbassando le saracinesche, mentre usciva l'ultima cliente. Era Deborah Riscoe. La borsa della spesa sembrava pesarle sul braccio e Dalgleish fermò istintivamente l'auto. Prevenendo indecisioni e goffaggini, le tolse la borsa e la fece sedere accanto a sé, senza neppure aver tempo di stupirsi della propria intraprendenza e dell'acquiescenza di lei. Gettando un'occhiata furtiva e rapida al suo profilo aristocratico e tranquillo, notò che dal suo viso era scomparsa ogni traccia di tensione. Non aveva perso nulla della sua bellezza, ma aveva un'aria serena che gli ricordava la madre.

Quando svoltò nel viale d'accesso a Martingale fu sul punto di fermarsi, ma con un cenno quasi impercettibile del capo lei lo indusse a proseguire. La corteccia dei faggi era dorata adesso, ma il riverbero del sole ne spegneva i colori. Le prime foglie cadute crepitavano nella polvere sotto le ruote. Giunsero in vista della casa, che non era mutata dalla prima volta che l'aveva vista. Solo, ora gli parve più grigia e lievemente sinistra alla fioca luce del giorno morente. In ingresso, Deborah si sfilò la giacca di pelle e sciolse la sciarpa.

«Grazie, mi ha fatto piacere. Stephen ha portato l'auto in città, questa settimana, e Wilson fa le consegne solo il mercoledì, così mi capita spesso di restare senza qualcosa che ho dimenticato di ordinare. Posso offrirvi qualcosa da bere, un tè o qualcosa?» Gli lanciò un'occhiata divertita e ironica. «Non siete in servizio, adesso. Vero?»

«No» disse. «Non sono in servizio. Sono in vacanza.»

Deborah non chiese spiegazioni e lui la seguì in soggiorno. Era più polveroso di come lo ricordava, e sembrava più spoglio, ma i suoi occhi esperti gli dissero che in realtà nulla, o quasi, era mutato. Era la stessa stanza, ma sembrava più vuota, perché molti dei segni della vita che vi si conduceva erano scomparsi.

Come se avesse indovinato quel che pensava, Deborah disse:

«Per la maggior parte del tempo ci sono solo io, in casa. Martha se n'è andata e ho dovuto sostituirla con un paio di lavoranti giornaliere che vengono dai nuovi quartieri. Perlomeno, loro si definiscono giornaliere, ma in realtà non sono mai sicura se si faranno vedere o meno. Ma questo contribuisce a rendere più vivace il nostro rapporto. Naturalmente, Stephen torna a casa quasi tutti i fine settimana, e questo mi aiuta un po'. Avrò un sacco di tempo per fare un bel ripulisti, prima che torni la mamma. Per ora non ho molto da fare, più che altro occuparmi di carte e documenti, il testamento di papà, le pratiche della morte, le scartoffie degli avvocati.»

«Ma dovete proprio stare qui da sola?» chiese Dalgleish.

«Oh, non mi pesa. Uno della famiglia deve pur restare. Sir Reynold mi ha offerto uno dei suoi cani, ma mordono un po' troppo, per i miei gusti. E poi, non sono addestrati ad esorcizzare i fantasmi.»

Dalgleish prese il bicchiere che lei gli porse e chiese notizie di Catherine Bowers. Gli sembrò il personaggio più innocuo del quale potesse informarsi. Di Stephen Maxie poco o nulla gli importava, di Felix Hearne gli importava troppo. E chiedere del bambino significava evocare quel fantasma dai capelli d'oro che già s'interponeva tra loro.

«Vedo Catherine ogni tanto. Jimmy è ancora al St. Mary, per adesso e Catherine viene a vederlo spesso assieme al padre e lo portano a passeggio. Catherine e Ritchie si sposeranno, credo.»

«Di già?»

Deborah rise.

«Oh, ma non credo che Ritchie sia ancora al corrente del progetto. Ma sarà una bella cosa, davvero. Catherine vuole veramente bene al bambino, se ne prende cura moltissimo, e credo che Ritchie sarà felice, con lei. Non credo ci siano altri dei quali possa darvi notizie. La mamma sta veramente bene e non è troppo infelice. Felix Hearne è in Canada. Mio fratello è all'ospedale ed è sempre molto indaffarato. Ma mi ha detto che tutti sono stati molto gentili con lui.»

Naturalmente, pensò Dalgleish. La madre era in prigione, la sorella doveva sobbarcarsi da sola tutte le pratiche legali per la morte del padre (oltre alle faccende di casa e all'ostilità o - e per lei sarebbe stato peggio - alla compassione della gente del paese), ma Stephen Maxie era tornato in ospedale, dove tutti erano molto gentili con lui. Qualcosa di quello che pensava dovette trasparire, perché Deborah si affrettò a dire:

«Sono contenta che sia molto impegnato. È stato più difficile per lui che per me.»

Sedettero insieme in silenzio per un po'. Anche se sembravano a loro agio, l'uno in compagnia dell'altra, Dalgleish era morbosamente sensibile ad ogni parola. Avrebbe voluto dire qualcosa, confortarla e rassicurarla, ma scartava sistematicamente tutte le frasi, formulate a metà, che gli venivano alle labbra. "Mi dispiace per quello che ho dovuto fare." Non gli dispiaceva affatto e lei era abbastanza onesta e intelligente per rendersene conto. Non si era mai scusato per aver fatto il suo dovere e non aveva nessuna intenzione di insultare proprio lei fingendo di farlo ora. "So che mi serbate rancore per quello che ho dovuto fare." Sdolcinata, sentimentale, falsa e fondata sull'arrogante presunzione che lei potesse provare un qualsiasi sentimento nei suoi confronti. Si diressero in silenzio verso la porta e Deborah restò a guardarlo, finché non scomparve in lontananza. Dalgleish si voltò indietro e la vide ancora stagliarsi per un attimo nella cornice della porta, illuminata dalla luce dell'ingresso, sola. Improvvisamente, seppe con assoluta e confortante certezza che si sarebbero rivisti ancora. E allora avrebbe saputo trovare le parole giuste.

 

FINE